L’Essere Umano nel Corano analizza il rango dell’essere umano nella visione Islamica del mondo.
Secondo l’Islam gli esseri umani non sono considerati esclusivamente come animali dalla statura eretta che possiedono unghie piatte, camminano su due gambe e parlano. Com’è scritto nel Sacro Corano, essi sono molto più complessi e misteriosi di quanto la parola “essere umano” possa lasciare intendere.
Nel Sacro Libro gli esseri umani sono elogiati e, allo stesso tempo, biasimati ripetutamente: per loro vengono utilizzati i migliori encomi e i peggiori rimproveri. Essi sono considerati superiori ai cieli, alla terra e agli angeli e, allo stesso tempo, inferiori alle bestie da soma e ai demoni; sono considerati delle creature in grado di conquistare il mondo e di mettere al proprio servizio gli angeli, eppure così deboli da poter sprofondare nella più infima bassezza.
Sono gli esseri umani, quindi, che devono decidere per se stessi e determinare il loro destino ultimo.
L’Ayatullah Morteza Motahhari (q.d.s.)1 uno dei principali artefici del nuovo risveglio islamico in Iran, nacque a Fariman il 2 Febbraio 1920, allora un villaggio ed oggi una città a circa sessanta chilometri da Mashhad, il grande centro di pellegrinaggio e insegnamento sciita nell’est dell’Iran2. Suo padre era Mohammad Hosseyn Motahhari, un rinomato sapiente che studiò a Najaf e trascorse molti anni in Egitto e nell’Hijaz prima di ritornare a Fariman.
L’anziano Motahhari era di una mentalità differente rispetto a suo figlio che però lo superò in qualità di fama ed erudizione. Il padre era assai devoto all’opera del celebre tradizionista Mulla Muhammad Baqir Majlisi (q.d.s.), mentre suo figlio, tra i sapienti della Shi'a del passato, era particolarmente legato al teosofo Mulla Sadra (q.d.s.).
L’Ayatullah Motahhari ha tuttavia avuto sempre un grande rispetto ed affetto per suo padre, che fu il suo primo insegnante, ed a cui dedicò uno dei suoi più popolari libri, “Dastan-e Rastan” (“L’epica dei Giusti”) pubblicato per la prima volta nel 1960, e scelto poi nel 1965 come libro dell’anno dalla Commissione Nazionale Iraniana per l’UNESCO3.
All’età di dodici anni Motahhari iniziò i suoi studi religiosi formali nella Hawza (centro di studi islamici) di Mashhad, che si trovava in uno stato di declino in parte per ragioni interne e in parte a causa delle misure repressive condotte da Reza Khan, il primo autocrate Pahlavi, contro tutte le istituzioni islamiche. A Mashhad Motahhari scoprì il suo grande amore per la filosofia, la teologia e la mistica, un amore che lo accompagnò per l’intero corso della sua vita e che ha dato forma alla sua intera visione sulla religione:
“Ricordo che quando iniziai i miei studi a Mashhad ed ero alle prese con l’apprendimento dell’arabo elementare, i filosofi, i mistici e i teologi mi impressionavano molto più di altri sapienti e scienziati, come gli inventori ed esploratori. Naturalmente non avevo ancora familiarità con le loro idee, ma li vedevo come i pionieri del pensiero umano”. 4
Di conseguenza, la figura che a Mashhad suscitò grande devozione in Motahhari fu Mirza Mahdi Shahidi Razavi (q.d.s.), un insegnante di filosofia; ma Razavi morì nel 1936, prima che Motahhari raggiungesse l’età per partecipare alle sue lezioni, e fu in parte per questo motivo che lasciò Mashhad l’anno successivo per unirsi al crescente numero di studenti che si trovavano nella Hawza di Qom.
Grazie alla saggia direzione di Shaykh 'Abdul Karim Ha'eri(q.d.s.), Qom era sul sentiero di diventare la capitale intellettuale e spirituale dell’Iran Islamico, e Motahhari fu qui abile a trarre beneficio dagli insegnamenti di una vasta gamma di sapienti. Egli studiò Fiqh (giurisprudenza islamica) e Usul5 – le materie fondamentali del curriculum tradizionale – con l’Ayatullah Hujjat Kuh-kamari (q.d.s.), l’Ayatullah Seyyed Muhammad Mohaqqeq Damad (q.d.s.), l’Ayatullah Seyyed Muhammad Reza Golpayegani (q.d.s.) e Hajj Seyyed Sadr al-Din as-Sadr (q.d.s.). Ma più importante di tutti essi era l’Ayatullah Borujerdi (q.d.s.), il successore di Ha'eri alla direzione della Hawza di Qom. Motahhari partecipò alle sue lezioni dal suo arrivo a Qom nel 1944 fino alla sua partenza per Tehran nel 1952, e nutriva un profondo rispetto nei suoi confronti.
Una fervente devozione e una stretta affinità caratterizzarono la relazione di Motahhari con il suo primo mentore a Qom, l’Imam Ruhollah Khomeyni (q.d.s.). Quando Motahhari arrivò a Qom, l’Imam Khomeyni era un giovane insegnante, ma era già emerso tra i suoi contemporanei per la profondità e completezza della sua visione islamica e la sua capacità di convogliarla agli altri. Tali qualità si manifestarono nelle celebri lezioni sull’etica che egli tenne a Qom agli inizi degli anni ’30. Queste lezioni attirarono un vasto pubblico, all’interno quanto al di fuori della Hawza, ed ebbero un profondo impatto su tutti coloro che vi partecipavano. Motahhari fece la sua prima conoscenza con l’Imam Khomeyni durante queste lezioni:
“Quando migrai a Qom, trovai l’oggetto del mio desiderio in una personalità che possedeva tutte le caratteristiche di Mirza Mahdi (Shahidi Razavi) in aggiunta ad altre che gli erano peculiari. Compresi che la sete del mio spirito sarebbe stata placata dalla pura primavera di questa personalità. Sebbene non avessi ancora completato le fasi preliminari dei miei studi e non fossi ancora qualificato per intraprendere lo studio delle scienze razionali (ma'qulat), le lezioni sull’etica tenute da questa amata personalità ogni giovedì e venerdì non erano ristrette all’etica nel senso freddo, accademico, bensì legate alla gnosi e allo sviluppo spirituale, e quindi mi coinvolsero. Posso dire senza esagerazione che queste lezioni suscitavano in me un’estasi tale che il loro effetto mi accompagnava fino al lunedì o martedì successivo. Un’importante parte della mia personalità intellettuale e spirituale si è formata in un periodo di dodici anni con questo maestro spirituale (ostad-e elahi) [in riferimento all’Imam Khomeyni]. 6
All’incirca nel 1946 l’Imam Khomeyni iniziò ad insegnare a un piccolo gruppo di studenti che includeva sia Motahhari sia il suo compagno di stanza alla Madreseh Feyziyeh, Montazeri, due testi filosofici chiave, l’Asfar al-Arba'a di Mulla Sadra (q.d.s.) e il Sharh-e-Manzuma di Mulla Hadi Sabzwari (q.d.s.). La partecipazione di Motahhari a questo gruppo, che continuò a incontrarsi fino a circa il 1951, gli consentì di stringere legami più intimi con il suo maestro. Sempre nel 1946, sotto la spinta di Motahhari e Montazeri, l’Imam Khomeyni impartì il suo primo corso formale di Fiqh e Usul, prendendo il capitolo sulle prove razionali dal secondo volume del Kifayatal Usul di Akhund Khorasani come suo testo di insegnamento. Motahhari seguì assiduamente il suo corso, proseguendo nel contempo i suoi studi di Fiqh con l’Ayatullah Borujerdi.
Nei primi due decenni del dopo-guerra l’Imam Khomeyni formò numerosi studenti a Qom, che divennero in seguito le guide della Rivoluzione Islamica e della Repubblica Islamica, in modo tale che attraverso essi (oltre che direttamente), l’impronta della sua personalità fu visibile in tutti gli sviluppi chiave del decennio scorso. Ma nessuno tra i suoi studenti coltivò con l’Imam Khomeyni la stessa relazione di affinità come Motahhari, un’affinità testimoniata dallo stesso Imam.
Il pupillo e il maestro condivisero un attaccamento profondo riguardo a tutti gli aspetti dell’erudizione tradizionale; una visione completa dell’Islam come sistema totale di vita e credo, con particolare importanza prestata ai suoi aspetti filosofici e mistici; assoluta lealtà alla Hawza, temperata dalla consapevolezza della necessità di riforma; desiderio di un completo cambiamento sociale e politico, accompagnato da un grande senso di strategia e di tempi; una capacità di uscire al di fuori del circolo dei religiosi tradizionali, e ricevere l’attenzione e lealtà degli intellettuali moderni.
Tra gli altri grandi maestri che influenzarono Motahhari a Qom vi era il grande esegeta del Corano e filosofo, l’Ayatullah Seyyed Muhammad Hosseyn Tabataba'i (q.d.s.). Motahhari partecipò sia alle lezioni di Tabataba'i sul Shifa' di Abu 'Ali Sina (Avicenna) che tenne tra il 1950 ed il 1953, sia agli incontri che avevano luogo sotto la sua direzione il giovedì pomeriggio. Il soggetto di questi incontri era la filosofia materialista, una sorprendente scelta per un gruppo di sapienti tradizionali. Motahhari stesso aveva nutrito un interesse critico verso la filosofia materialista, specialmente il marxismo, subito dopo aver intrapreso lo studio formale delle scienze razionali.
In accordo alle sue memorie, intorno al 1946 iniziò lo studio delle traduzioni in lingua persiana della letteratura marxista pubblicate dal partito Tudeh, la maggiore organizzazione marxista in Iran e a quel tempo importante forza sulla scena politica. In aggiunta, egli lesse gli scritti di Taqi Arani, il maggiore teorico del partito Tudeh, oltre alle pubblicazioni marxiste in lingua araba provenienti dall’Egitto. Inizialmente ebbe alcune difficoltà nella comprensione di questi testi, non avendo familiarità con la terminologia filosofica moderna, ma dopo un notevole sforzo (che includeva l’elaborazione di una sintesi del “Principi Elementari di Filosofia” di Georges Pulitzer), riuscì a padroneggiare l’intero soggetto della filosofia materialista. Questa padronanza lo rese una figura assai influente nel circolo di Tabataba'i e successivamente, dopo il suo trasferimento a Tehran, un combattente efficace nella guerra ideologica contro il marxismo e le interpretazioni dell’Islam influenzate dal marxismo.
Numerosi saggi critici del marxismo sono stati pubblicati nel mondo islamico, tanto in Iran quanto altrove, ma quasi tutti hanno fallito nell’andare oltre le ovvie incompatibilità del marxismo con il credo religioso e i fallimenti e le inconsistenze dei partiti politici marxisti. Motahhari, al contrario, è andato alle radici filosofiche della questione e dimostrò con una logica rigorosa le contraddizioni e la natura arbitrariamente ipotetica dei principi chiave del marxismo. I suoi scritti polemici sono caratterizzati più da una forza intellettuale che retorica o emotiva. Tuttavia, per Motahhari la filosofia era ben altro che un giocattolo polemico o una disciplina intellettuale; si trattava di un particolare tipo di religiosità, una via di comprensione e formulazione dell’Islam. Motahhari appartiene infatti alla tradizione filosofica sciita che risale almeno a Nasir ad-Din Tusi, una delle sue maggiori fonti di ispirazione.
Dire che la visione dell’Islam di Motahhari era filosofica non implica che egli mancasse di spiritualità o fosse determinato a subordinare i dogmi rivelati alle interpretazioni filosofiche e imporre la terminologia filosofica a tutti i domini riguardanti la religione; significa piuttosto che egli vedeva l’ottenimento della conoscenza e la comprensione come il primo obiettivo e beneficio della religione e per questo motivo diede alla filosofia una certa preminenza tra le discipline coltivate nella Hawza. Così egli contrastò sia quei numerosi sapienti per i quali il Fiqh era l’inizio e la fine del curriculum, che i modernisti, per i quali la filosofia sarebbe un’intrusione ellenistica nel mondo dell’Islam, e anche tutti coloro il cui ardore rivoluzionario aveva reso impazienti verso un accurato pensiero filosofico.7
La particolare scuola filosofica a cui aderiva Motahhari era quella di Mulla Sadra, la “filosofia trascendentale” (hikmat muta'aliya) che cerca di combinare i metodi gnostici con quelli della deduzione filosofica. Motahhari era un uomo di disposizione tranquilla e serena, tanto nel suo comportamento generale quanto nei suoi scritti. Anche quando si addentrava in polemiche, egli era invariabilmente cortese e usualmente si asteneva dall’utilizzare un lessico emotivo e ironico. Ma tale era la sua devozione per Mulla Sadra che egli lo difendeva appassionatamente anche contro critiche lievi e accidentali, ed egli scelse per il suo primo figlio – come per la casa editrice in Qom che pubblicava i suoi libri – il nome Sadra.
Nella misura in cui la scuola filosofica di Sadra tenta di fondere i metodi di illuminazione interiore e riflessione intellettuale, non è sorprendente che sia stata soggetta a varie interpretazioni da parte di coloro che erano più inclini a un metodo piuttosto che all’altro.
A giudicare dai suoi scritti, Motahhari appartiene a coloro per i quali la dimensione intellettuale della scuola di Sadra era predominante; vi è poco del tono mistico o marcatamente spirituale rintracciabile in altri esponenti del pensiero di Sadra, forse perché Motahhari vedeva le proprie esperienze interiori come irrilevanti nel compito di istruire che si era assunto, o addirittura come un segreto intimo da celare. Più probabilmente, tuttavia, questa predilezione per una dimensione strettamente filosofica della “filosofia trascendentale” era un’espressione dello stesso temperamento e genio di Motahhari.
A questo riguardo egli differisce profondamente dal suo grande mentore, l’Imam Khomeyni, il quale in molti pronunciamenti politici si esprime con un linguaggio e un’attitudine propri della gnosi e della spiritualità.
Nel 1952 Motahhari lascia Qom per Tehran, dove sposa la figlia dell’Ayatullah Ruhani (q.d.s.) ed inizia ad insegnare filosofia presso la Madreseh Marwi, una delle principali istituzioni di insegnamento religioso nella capitale. Non si trattava dell’inizio della sua carriera di insegnante, perché già a Qom aveva cominciato l’insegnamento di alcune materie – logica, filosofia, teologia e giurisprudenza – mentre egli stesso era ancora studente. Pare però che Motahhari sia diventato progressivamente impaziente con una certa ristretta atmosfera di Qom, con la faziosità prevalente tra alcuni degli studenti e i loro insegnanti, e con la loro lontananza dalle preoccupazioni della società. Le sue stesse prospettive future a Qom erano piuttosto incerte.
A Tehran Motahhari trovò un campo più soddisfacente per le attività religiose, educative e infine politiche. Nel 1954 venne invitato a insegnare filosofia alla Facoltà di Teologia e Scienze Islamiche dell’Università di Tehran, dove insegnò per ventidue anni. La regolarizzazione della sua designazione prima, e la sua promozione a professore poi, vennero ritardate dalla gelosia di colleghi mediocri e da considerazioni di natura politica (la vicinanza di Motahhari all’Imam Khomeyni era ben nota). Ma la presenza di una figura come Motahhari in un’università secolare era significativa ed efficace.
Molte persone con un retroterra di Madresah giunsero a insegnare nelle università, e si trattava in genere di persone di grande erudizione, ma quasi senza eccezione, esse abbandonarono la visione islamica, insieme con il loro turbante e mantello. Motahhari, al contrario, arrivò all’università come un articolato e convinto esponente della scienza e sapienza islamica, quasi come un inviato della Hawza all’insegnamento secolare. La risposta fu molto positiva. Fu come se Qom avesse funzionato quale motore pedagogico sulla sua personalità, mentre a Tehran egli dovette manifestare pubblicamente le sue potenzialità.
Oltre a costruire la sua reputazione come insegnante universitario popolare ed efficace, Motahhari partecipò nelle iniziative di numerose associazioni islamiche di professione (anjomanha) che nacquero sotto la supervisione di Mahdi Bazargan e dell’Ayatullah Taleqani (q.d.s.), insegnando ai loro medici, ingegneri, professori e aiutando a coordinarne le attività, e un certo numero di libri di Motahhari consiste infatti nelle trascrizioni rivedute di serie di lezioni tenute presso associazioni islamiche.
La volontà di Motahhari di una più ampia diffusione della conoscenza religiosa nella società e un più effettivo coinvolgimento dei sapienti religiosi negli affari sociali lo portò nel 1960 ad assumere la guida di un gruppo di 'Ulama di Tehran conosciuto come “Anjoman-e Mahane-ye Dini” (“Incontro religioso mensile”). I membri di questo gruppo, che includeva il martire Ayatullah Beheshti (q.d.s.), un compagno-studente di Motahhari a Qom, organizzavano mensilmente lezioni pubbliche con l’obiettivo simultaneo di dimostrare la preoccupazione dell’Islam nei confronti delle questioni contemporanee e stimolare un pensiero riformatore tra gli Ulamà. Le lezioni venivano stampate sotto il titolo di “Goftar-e-Mah” (“Discorso del mese”) e divennero molto popolari, ma il governo le bandì nel Marzo del 1963, quando l’Imam Khomeyni iniziò la sua denuncia pubblica del regime Pahlavi.
Uno degli eventi più importanti, di natura simile, fu nel 1965 la fondazione della Hosseyniyeh Ershad, un’istituzione a nord di Tehran creata per ottenere il sostegno dei giovani che avevano ricevuto un’educazione secolare all’Islam. Motahhari era tra i membri del direttivo; egli inoltre insegnava presso la Hosseynieyh Ershad e curava e contribuiva a differenti sue pubblicazioni. Questa istituzione fu abile ad attirare un gran numero di persone alle sue attività, ma tale successo – che senza dubbio sorpassò le aspettative dei fondatori - venne oscurato da diversi problemi interni. Uno di questi era il contesto politico delle attività dell’istituto, che sollevò differenti opinioni sull’opportunità di passare da insegnamenti di riforma a un confronto politico.
Le parole giocano in generale un più efficace e immediato ruolo nel promuovere cambiamenti rivoluzionari rispetto agli scritti, e sarebbe possibile comporre un’antologia dei sermoni, discorsi e lezioni chiave che hanno portato avanti la Rivoluzione Islamica dell’Iran. Ma il chiarimento del contenuto dottrinale della Rivoluzione, la sua demarcazione da scuole di pensiero oppositrici o concorrenti è dipesa necessariamente dalle parole scritte, dalla composizione di opere che espongono la dottrina islamica in forma sistematica, con particolare attenzione a questioni e problemi contemporanei. In questa area, il contributo di Motahhari fu unico nella sua portata intellettuale e negli obiettivi; egli infatti scrisse in maniera assidua e continua, dai giorni in cui era studente a Qom fino al 1979, l’anno del suo martirio.
Gran parte della sua opera venne segnata dalla stessa enfasi e dal tono filosofico già menzionati, e probabilmente ritenne come il suo più importante lavoro Usul-e Falsafe va Ravesh-e Re'alism (“I principi della filosofia ed il metodo del realismo”), una serie di annotazioni delle lezioni di Tabataba'i del giovedì pomeriggio a Qom, con a margine i commenti di Motahhari. Egli non scelse però gli argomenti dei suoi libri in accordo al proprio interesse personale o alla propria predilezione, ma alla sua percezione delle necessità; ovunque mancasse un libro su argomenti vitali d’interesse islamico contemporaneo, Motahhari cercò di colmarne il vuoto.
Da solo ha realizzato la costituzione dei principali elementi della libreria contemporanea islamica. Libri come 'Adl-e Elahi (“La Giustizia Divina”), Nezam-e Hoquq-e Zan dar Eslam (“Il sistema dei diritti delle donne nell’Islam”), Mas'ale-ye Hejab (“La questione del hijab”), Ashna'i ba Ulum-e Eslami (“Un’introduzione alle scienze Islamiche”) e Moqaddame'i bar Jahanbini-ye Eslami (“Un’introduzione alla visione islamica del mondo”) erano tutti concepiti per colmare una necessità, contribuire ad un’accurata e sistematica comprensione dell’Islam e dei problemi della società islamica.
Questi libri possono essere ritenuti come il più duraturo e importante contributo alla rinascita dell’Iran Islamico, ma la sua attività possedeva anche una dimensione politica che, sebbene subordinata, non deve essere ignorata. Mentre era studente e neo-insegnante a Qom egli aveva cercato di instillare la consapevolezza politica nei suoi contemporanei ed era particolarmente vicino ai membri di Fadaiyan-e Eslam, l’organizzazione militante islamica fondata nel 1945 dal martire Seyyed Nawwab Safawi. Il quartier generale dei Fadaiyan a Qom era la Madreseh Feyziyeh, dove lo stesso Motahhari risiedeva, ed egli cercò invano di prevenire la loro rimozione dalla Madresah da parte dell’Ayatullah Borujerdi, che era risolutamente contrario ad ogni confronto politico diretto con il regime dello Shah.
Durante la lotta per la nazionalizzazione dell’industria petrolifera iraniana Motahhari simpatizzò con gli sforzi dell’Ayatullah Kashani (q.d.s.) e di Muhammad Musaddiq, sebbene criticasse quest’ultimo per la sua adesione al nazionalismo secolare. Dopo il suo spostamento a Tehran Motahhari collaborò con il “Movimento della Libertà” di Bazargan e Taleqani, senza divenirne però una delle figure guida.
Il suo primo serio confronto con il regime dello Shah avvenne durante il sollevamento del 15 di Khordad 1342 (6 Giugno 1963), quando egli si presentò pubblicamente come seguace, tanto politico quanto intellettuale, dell’Imam Khomeyni, distribuendo le sue dichiarazioni e chiamando ad appoggiarlo nei sermoni da lui tenuti e per questo venne arrestato e imprigionato per trentatré giorni.8 Dopo il suo rilascio partecipò attivamente alle attività di varie organizzazioni sorte per mantenere il momentum che era stato creato dal sollevamento, la più importante delle quali era l’“Associazione dei Sapienti Religiosi Militanti” (Jame-ye Rohaniyat-e Mobarez).
Nel Novembre del 1964 l’Imam Khomeyni entrò nei suoi quattordici anni di esilio, passati dapprima in Turchia e in seguito a Najaf (Iraq), e durante questo periodo Motahhari rimase in contatto con l’Imam Khomeyni in vari modi anche visitando Najaf; e quando la Rivoluzione Islamica raggiunse il suo apice nell’inverno del 1978 e l’Imam Khomeyni lasciò Najaf per Parigi, Motahhari fu tra coloro che si recarono in Francia per poterlo incontrare e consultare. La sua vicinanza all’Imam Khomeyni venne confermata dalla sua designazione nel Consiglio della Rivoluzione Islamica, della cui esistenza l’Imam diede annuncio il 12 Gennaio 1979.
I servigi di Motahhari alla Rivoluzione Islamica vennero brutalmente interrotti dal suo assassinio il 1° Maggio 1979. L’omicidio venne eseguito da un gruppo conosciuto come Furqan9, che si proclamava rappresentante di un “Islam progressista”, libero dalla supposta influenza distorta dei sapienti religiosi. Sebbene Motahhari nel momento del suo assassinio fosse il presidente del Consiglio della Rivoluzione Islamica, era in realtà il pensatore e scrittore che veniva martirizzato. Nel 1972 Motahhari pubblicò un libro intitolato “Elal-e Gherayesh be Maddigari” (“Ragioni dell’attrazione del materialismo”) un importante lavoro di analisi del retroterra storico del materialismo in Europa e in Iran.
Durante la Rivoluzione egli scrisse un’introduzione all’ottava edizione di questo libro, attaccando le distorsioni del pensiero di Hafez e Hallaj che erano diventate di moda in alcuni segmenti della società iraniana e rifiutando certe interpretazioni materialistiche del Corano. La fonte di queste interpretazioni era il gruppo Furqan, che cercava di negare concetti coranici fondamentali come la trascendenza divina e la realtà dell’aldilà. Come sempre in questi casi, il tono di Motahhari era persuasivo e stimolante, privo di rabbia o condanna, ed egli invitò inoltre Furqan e le altre parti interessate a una risposta, e a commentare quanto aveva scritto. La loro sola risposta fu la pistola.
La minaccia di assassinare tutti coloro che gli si opponevano era già contenuta negli scritti di Furqan, e dopo la pubblicazione della nuova edizione di “Elal-e Gherayesh be Maddigari”, Motahhari ebbe apparentemente alcune premonizioni del suo martirio. Secondo la testimonianza di suo figlio, Mojtaba, un certo tipo di distaccamento dalle questioni mondane divenne visibile in lui; incrementò le sue preghiere notturne e la lettura del Corano, ed ebbe un sogno nel quale si trovava in presenza del Profeta (S)10, insieme con l’Imam Khomeyni (q.d.s.).
Martedì 1° Maggio 1979 Motahhari si trovava nella casa di Yadullah Sahabi in compagnia di altri membri del Consiglio della Rivoluzione Islamica. Intorno alle 22.30, insieme a un altro partecipante all’incontro, l’ingegnere Katira'i, lasciò la casa di Sahabi. Camminando in una via adiacente dove era parcheggiata l’auto, Motahhari improvvisamente sentì una voce sconosciuta chiamarlo. Si guardò attorno per vedere da dove provenisse e, non appena lo fece, una pallottola lo colpì in testa, penetrando sotto l’orecchio destro e uscendo dal sopracciglio sinistro.
Morì quasi all’istante, e sebbene venne portato nel vicino ospedale, non rimase altro da fare che piangere per lui. Il corpo rimase in ospedale il giorno seguente, e poi il giovedì mattina venne portato per le preghiere funebri prima all’Università di Tehran e poi a Qom, vicino la tomba di Shaykh 'Abdul Karim Ha'eri (q.d.s.), all’interno del sacro mausoleo dedicato a Hazrat Fatima Ma'sumah (A).
L’Imam Khomeyni (q.d.s.) pianse apertamente quando Motahhari venne seppellito a Qom, e lo descrisse come un suo “caro figlio”, come “il frutto della mia vita” e “parte della mia carne”. Ma nel suo comunicato l’Imam Khomeyni ribadì anche che con l’uccisione di Motahhari né la sua personalità ne aveva risentito, né il corso della Rivoluzione veniva interrotto:
“Lasciate che i malvagi sappiano che con la dipartita di Motahhari – la sua personalità islamica, la sua filosofia e conoscenza, non ci hanno lasciati. Le uccisioni non possono distruggere la personalità islamica dei grandi uomini dell’Islam…L’Islam cresce attraverso il sacrificio e il martirio dei suoi cari. Dal tempo della rivelazione a quello presente, l’Islam è sempre stato accompagnato dal martirio e dall’eroismo.”11
La personalità e l’eredità dell’Ayatullah Motahhari sono certamente indimenticabili nella Repubblica Islamica, al punto che la sua presenza post-mortem, attraverso il suo pensiero, ha influito quasi tanto quanto il suo operato in vita. L’anniversario del suo martirio è regolarmente commemorato, celebrato come il “Giorno del Maestro”, con il suo ritratto onnipresente in tutto l’Iran. Molti dei suoi scritti inediti sono stati stampati per la prima volta, e l’intero corpus delle sue opere è ora distribuito e studiato su larga scala. Nelle parole dell’Ayatullah Khamenei, l’attuale Guida della Rivoluzione Islamica, le opere di Motahhari costituiscono “l’infrastruttura intellettuale della Repubblica Islamica”.
Sforzi sono pertanto in corso per promuovere la conoscenza degli scritti di Motahhari al di fuori del mondo di lingua persiana, e il Ministero della Guida Islamica sta sponsorizzando la traduzione dei suoi lavori in differenti lingue.
In un certo senso, comunque, sarà più consono alla memoria di Motahhari se l’Iran rivoluzionario dimostrasse la capacità di costruire una politica, una società, un’economia e una cultura autenticamente e integralmente islamiche, poiché la vita di Motahhari fu orientata verso un obiettivo che trascende le motivazioni individuali e il suo martirio fu l’espressione finale di questa sua attitudine personale.
Sue opere tradotte in italiano:
• L’uomo e la fede
• Società e storia
• La contemplazione del mistero
• La visione unitaria del mondo, Semar
• (con R. Khomeyni), La Via spirituale, Semar
• L’Islam e il pluralismo religioso, Irfan Edizioni
• La vita eterna
• La guida e il magistero
• La questione dell’hijab
• L’etica sessuale nell’Islam e nel mondo occidentale,
• Il martire.
L’essere umano occupa una posizione singolare nella visione islamica del mondo.
Nell’Islam, infatti, gli esseri umani non sono considerati esclusivamente come animali dalla statura eretta che possiedono unghie piatte, camminano su due gambe e parlano. Come è scritto nel Sacro Corano, essi sono molto più complessi e misteriosi di quanto la parola “essere umano” possa lasciare intendere.
Nel Sacro Libro gli esseri umani sono elogiati e, allo stesso tempo, biasimati ripetutamente: per loro vengono utilizzati i migliori encomi e i peggiori rimproveri. Essi sono considerati superiori ai cieli, alla terra e agli angeli e, allo stesso tempo, inferiori alle bestie da soma e ai demoni; sono considerati delle creature in grado di conquistare il mondo e di mettere al proprio servizio gli angeli, eppure così deboli da poter sprofondare nella più infima bassezza.
Sono gli esseri umani, quindi, che devono decidere per se stessi e determinare il loro destino ultimo.
1. Gli esseri umani sono i vicari di Dio sulla Terra:
“Il giorno che {Allah} decise di crearlo {l’essere umano}, comunicò questa Sua decisione agli angeli. Essi dissero: “Vuoi forse creare chi porterà la corruzione e spargerà il sangue sulla terra?”. {Allah} disse: “In verità, Io so ciò che voi non sapete” (Sacro Corano, Sura al-Baqara, 2:30).
“Egli è Colui che vi ha costituiti Suoi vicari sulla terra per provarvi in quel che vi ha dato.” (Sacro Corano, Sura al-An'am, 6:165).
2. Gli esseri umani hanno una capacità intellettuale superiore a quella di ogni altra creatura:
“Insegnò ad Adamo tutti i nomi {tutte le realtà}. Quindi chiese agli angeli: “Ditemi ora i loro nomi”. Dissero: “Non v’è sapere in noi all’infuori di ciò che Tu Stesso ci hai insegnato {non possiamo imparare ciò che tu stesso non ci hai insegnato}”. Egli disse ad Adamo: “O Adamo, informali dei nomi di queste {cose}”; quando {Adamo} li mise al corrente dei nomi di quelle {cose}, Allah disse agli angeli: “Non vi avevo forse detto che Io conosco l’arcano dei cieli e della terra {conosco ciò che sicuramente non conoscete}, ciò che voi manifestate e ciò che tenevate nascosto?” (Sacro Corano, Sura al-Baqara, 2:31-33).
C. La natura degli esseri umani è consapevole, nel profondo della propria coscienza, dell’esistenza di Dio. Così, tutti i dubbi riguardanti Dio, così come la negazione della Sua esistenza, sorgono a causa della deviazione degli esseri umani dalla loro vera natura.
“Quando i discendenti di Adamo erano ancora nei lombi dei loro padri {e ancora sono e sempre saranno}, Allah li fece testimoniare sulla Sua esistenza ed essi testimoniarono.” (Sacro Corano, Sura al-A'raf, 7:172).
“Mantieni il tuo volto rivolto verso la religione, quella religione che è basata sulla natura originaria dell’uomo, e tutti gli uomini sono stati creati in base ad essa.” (Sacro Corano, Sura ar-Rum, 30:30).
D. Gli esseri umani hanno insito nella propria natura un insieme di elementi divini, celesti, oltre alle componenti materiali che esistono negli animali, nelle piante e negli oggetti inanimati. Essi sono un insieme di fisica e metafisica, materia e spirito, corpo e anima.
“È colui che ha perfezionato ogni cosa creata e dall’argilla ha dato inizio alla creazione dell’uomo, quindi ha tratto la sua discendenza da una goccia d’acqua insignificante, quindi gli ha dato forma e ha insufflato in lui del Suo spirito.” (Sacro Corano, Sura as-Sajdah, 32:7-9).
E. La creazione degli esseri umani è stata pianificata in modo preciso. Non è stata una coincidenza. L’essere umano è, in effetti, una creatura eletta.
“Lo scelse poi il suo Signore, accolse il suo pentimento e lo guidò.” (Sacro Corano, Sura Ta-Ha, 20:122).
F. Gli esseri umani sono liberi e indipendenti, e custodi di ciò che Dio ha dato loro. Sono investiti di una missione e sono colmati di responsabilità: si richiede loro di prosperare sulla terra attraverso la propria iniziativa e il proprio lavoro, e di scegliere liberamente tra la beatitudine e la dannazione.
“In verità proponemmo ai cieli, alla terra e alle montagne la responsabilità della fede ma rifiutarono e ne ebbero paura, mentre l’uomo se ne fece carico e lo accettò. In verità egli è oppressore e ignorante.” (Sacro Corano, Sura al-Ahzab, 33:72).
“Invero creammo l’uomo, per metterlo alla prova, da una goccia di sperma eterogenea e abbiamo fatto sì che sentisse e vedesse e gli abbiamo indicato la Retta Via, sia esso riconoscente o ingrato.” (Sacro Corano, Sura al-Insan, 76: 2-3).
(O l’essere umano si muove sul Retto Sentiero, il Sirat al-Mustaqim, e raggiunge la beatitudine, oppure si rivolta ingrato e devia da esso).
G. Gli esseri umani sono dotati di innata grandezza e dignità, in quanto Dio li ha creati superiori alle altre creature. Essi riconoscono la loro vera essenza solo se avvertono questa nobiltà e dignità e si considerano superiori nei confronti della piccolezza delle cose materiali, servili e sensuali.
“In verità abbiamo onorato i figli di Adamo, li abbiamo condotti sulla terra e sul mare e abbiamo concesso loro cibo eccellente e li abbiamo fatti primeggiare su molte delle Nostre creature.” (Sacro Corano, Sura al-Isra', 17:70).
H. Gli esseri umani possiedono una coscienza morale; essi sono in grado di discernere istintivamente il bene dal male.
“Per l'anima e Colui che l'ha formata armoniosamente, ispirandole devozione ed empietà.” (Sacro Corano, Sura ash-Shams, 91: 7-8).
I. Il cuore degli esseri umani è acquietato soltanto dal ricordo di Dio. I loro desideri sono illimitati, e generalmente essi si stancano di ciò che ottengono, ad eccezione di quando raggiungono l’unione con l’Essenza Divina Illimitata.
“…In verità i cuori si rasserenano solo al Ricordo di Allah”. (Sacro Corano, Sura ar-Ra'd, 13:28).
“O uomo che aneli al tuo Signore, tu Lo incontrerai”. (Sacro Corano, Sura al-Inshiqaq, 84:6).
L. Tutte le benedizioni terrene sono state create per gli esseri umani.
“Egli ha creato per voi tutto quello che c’è sulla terra..”. (Sacro Corano, Sura al-Baqara, 2:29).
“E vi ha sottomesso tutto quello che è nei cieli e sulla terra {quindi l’essere umano ha il diritto di farne uso}”. (Sacro Corano, Sura al-Jathiyah, 45:13).
M. Dio ha creato gli esseri umani affinché adorino Lui soltanto e Gli siano obbedienti, quindi il loro dovere è ubbidire al Comando Divino.
“È solo perché Mi adorassero che ho creato i jinn1 e gli uomini”. (Sacro Corano, Sura adh-Dhariyat, 51:56).
N. Gli esseri umani ritrovano se stessi e la propria natura profonda soltanto nell’atto di adorazione di Dio e nel Suo ricordo (Dhikr). Se dimenticano il proprio Signore, è come se dimenticassero se stessi; in tal caso, non saprebbero chi sono, quale è l’obiettivo della loro esistenza, cosa dovrebbero fare e in quale direzione dovrebbero andare.
“Non siate come coloro che dimenticano Allah e cui Allah fece dimenticare se stessi…”. (Sacro Corano, Sura al-Hashr, 59:19).
O. Alcune delle realtà che in questo mondo sono nascoste si sveleranno agli esseri umani non appena il loro corpo perirà e il velo posto sulla loro anima sarà rimosso.
“…Ma ora abbiamo sollevato il tuo velo e quindi oggi la tua vista è acuta”. (Sacro Corano, Sura Qaf, 50:22).
P. Gli esseri umani non sono guidati soltanto da motivazioni materiali, che non rappresentano i loro unici stimoli: essi fanno invece degli sforzi verso obiettivi e aspirazioni ben più alti del mero soddisfacimento delle proprie esigenze materiali. In alcuni casi, essi non ricercano altro obiettivo che il compiacimento di Dio.
“O anima ormai acquietata, ritorna al tuo Signore soddisfatta e accetta”. (Sacro Corano, Sura al-Fajr, 89:27-28).
“Ai credenti e alle credenti, Allah ha promesso i Giardini in cui scorrono i ruscelli, dove rimarranno in perpetuo, e splendide dimore nei giardini dell'Eden; ma il compiacimento di Allah vale ancora di più: questa è l'immensa beatitudine!” (Sacro Corano, Sura at-Tawbah, 9:72).
Di conseguenza, il Sacro Corano dipinge la figura dell’essere umano come creatura eletta da Dio, Suo vicario (Khalifah) sulla terra, sia materiale che spirituale, conscio, in maniera innata, dell’esistenza di Dio. L’essere umano è libero, indipendente, custode di ciò che Iddio gli ha affidato, ed è responsabile di se stesso e del mondo, in quanto possiede il dominio sulla natura, sul cielo e sulla terra. Egli, inoltre, ha contemporaneamente inclinazione sia verso il bene che verso il male. La sua esistenza comincia con la debolezza e l’inabilità e si muove in direzione della forza e della perfezione, ma non raggiunge uno stato di tranquillità se non in prossimità di Dio e attraverso il Suo ricordo.
Le capacità dell’essere umano non hanno limiti nell’apprendere e nell’applicare la propria conoscenza. Egli sperimenta un’istintiva grandezza e dignità. Le sue motivazioni e i suoi stimoli sono, nella maggior parte dei casi, non materialistici.
L’essere umano, infine, ha il diritto di usufruire lecitamente delle benedizioni che gli sono state concesse ma, allo stesso tempo, egli deve farsi carico dei propri doveri verso Dio.
Parallelamente, il Sacro Corano biasima ampiamente l’essere umano:
“In verità egli è ingiusto e ignorante.” (Sacro Corano, Sura al-Ahzab, 33:72).
“Invero l’uomo è ingrato.” (Sacro Corano, Sura al-Hajj, 22:66).
“Invece no! Invero l’uomo si ribella, appena ritiene di bastare a se stesso.” (Sacro Corano, Sura al-'Alaq, 96:7).
“…In verità l’uomo è frettoloso.” (Sacro Corano, Sura al-Isra', 17:11).
“Quando la disgrazia lo tocca, l’uomo Ci invoca, coricato su un fianco, seduto o in piedi. Quando poi lo liberiamo dalla sua disgrazia, si comporta come se non Ci avesse mai invocato a proposito della disgrazia che lo ha colto…” (Sacro Corano, Sura Yunus, 10:12).
“…L’uomo è avaro.” (Sacro Corano, Sura al-Isra', 17:100).
“…Ciononostante l’uomo è la più polemica delle creature.” (Sacro Corano, Sura al-Kahf, 18:54).
“In verità l’uomo è stato creato instabile; si lamenta quando lo coglie sventura, è arrogante nel benessere.” (Sacro Corano, Sura al-Ma'arij, 70:19-21).
Come sono descritti gli esseri umani nel Sacro Corano? Sono buoni o cattivi? Sono particolarmente buoni e cattivi allo stesso tempo? Sono descritti come delle creature dalla doppia natura, per metà luminosa e per metà tenebrosa? Come è possibile che il Sacro Libro da una parte li innalzi con innumerevoli lodi, e allo stesso tempo li denigri con dure critiche?
Queste lodi e queste critiche non sono dovute al fatto che gli esseri umani sono creature dalla doppia natura, per metà da lodare e per metà da biasimare: nella logica del Sacro Corano gli esseri umani possiedono tutte le potenziali perfezioni, ed essi dovrebbero impegnarsi a portare queste inclinazioni innate a livello di azione. Sono essi, quindi, che devono sviluppare loro stessi.
La condizione primaria per il conseguimento di tale perfezione umana è la fede (Iman): essa è il primo passo verso il timor di Dio (Taqwa), verso le rette azioni e verso gli sforzi sulla via di Dio (Jihad). È attraverso la fede che la conoscenza è trasformata in un elemento atto a illuminare l’essere umano, e non in un dannoso strumento asservito alle passioni.
È evidente, quindi, che la vera essenza dell’essere umano, che è il vicario di Dio sulla terra, che viene glorificato dagli angeli, per il quale esiste ogni cosa e che possiede tutte le perfezioni, è la fede. L’essere umano senza fede è un essere imperfetto: si dimostra avido, brutale e avaro; inoltre è miscredente e, di conseguenza, più spregevole delle bestie da soma.
Versetti specifici del Sacro Corano distinguono chiaramente tra l’essere umano lodato e quello biasimato: in essi si comprende che la persona senza fede (vale a dire chi non crede nell’esistenza di Dio) non è realmente un essere umano. Essi fanno inoltre comprendere che, se l’essere umano si congiungesse all’Essere il Cui ricordo apporta tranquillità, cioè Dio, egli otterrebbe tutte le perfezioni. Al contrario, se fosse incurante di Dio, egli somiglierebbe a un albero separato dalla sua radice.
Due semplici versetti del Sacro Corano illustrano questa realtà:
“Per il Tempo! Invero l’uomo è in perdita, eccetto coloro che credono e compiono il bene, vicendevolmente si raccomandano la verità e vicendevolmente si raccomandano la pazienza.” (Sacro Corano, Sura al-'Asr, 103: 1-3).
“In verità creammo molti jinn e molti uomini per l’Inferno: hanno cuori che non comprendono, occhi che non vedono e orecchie che non sentono, sono come bestiame, anzi ancora peggio.” (Sacro Corano, Sura al-A'raf, 7:179).
Da quanto affermato in precedenza, possiamo dedurre che l’essere umano ha molti aspetti in comune con gli animali, ma, allo stesso tempo, è profondamente diverso da essi.
Egli è un essere materiale e, contemporaneamente, spirituale; ha differenze basilari e profonde rispetto alle altre creature, ognuna delle quali offre una specifica dimensione dell’essere umano, una diversa parte del suo essere.
Tali distinzioni si trovano in tre differenti campi:
• La comprensione di sé e del mondo;
• I desideri che governano gli esseri umani;
• Il grado di influenza di tali desideri sull’essere umano e la capacità di discernere.
Per quanto riguarda la comprensione del mondo, i sensi corporei servono all’animale come mezzi di consapevolezza di esso; gli esseri umani condividono questa caratteristica con altre creature, sebbene, in taluni casi, alcuni animali si rivelino superiori. I sensi, però, offrono agli esseri umani e agli animali solo una comprensione superficiale del mondo, che non riesce ad andare in profondità nella conoscenza della natura e a cogliere l’essenza delle cose o la relazione logica fra esse.
Negli esseri umani vi è, però, un altro elemento che li guida nella conoscenza di se stessi e del mondo, e di cui gli altri animali sono privi: questa “potenza” misteriosa è chiamata “pensiero”. Attraverso il pensiero, gli esseri umani scoprono le leggi fondamentali del mondo e ne ottengono una visione generale. Attraverso queste leggi fondamentali essi possono porre la natura al proprio servizio, ma sempre in accordo ai Comandamenti Divini.
Come già puntualizzato in precedenza, questa potenzialità appartiene soltanto all’essere umano e il meccanismo che sottende alla comprensione razionale è uno dei più complessi meccanismi della nostra esistenza; se viene sviluppato correttamente, aiuterà gli esseri umani a conoscere se stessi così come molti altri aspetti dell’universo che non possono essere conosciuti direttamente attraverso i sensi. In particolare, una conoscenza filosofica di Dio può essere ottenuta attraverso questa dote “misteriosa” degli esseri umani.
Per quanto concerne gli istinti, gli esseri umani si trovano sotto l’influenza delle forze naturali, al pari delle altre creature. L’istinto di mangiare, di riposare, di dormire, di avere rapporti sessuali, li attrae verso il mondo materiale. Ma ci sono altre tendenze che conducono l’essere umano nella direzione di aspettative immateriali, prive di peso e di sostanza, e non paragonabili ai bisogni materiali.
Segue ora una breve analisi delle basi conosciute e accettate di queste inclinazioni spirituali.
Gli esseri umani non cercano di acquisire conoscenza al solo fine di dominare la natura e di prosperare nella loro vita materiale; essi posseggono piuttosto un istinto per la ricerca e la scoperta della verità e, sebbene la conoscenza possa servire come mezzo per migliorare la vita, è un’ideale che può essere desiderato in se stesso e una meta gratificante: se per esempio gli esseri umani sapessero che ci sono dei segreti celati nelle galassie, vorrebbero in ogni caso scoprirli anche se comprenderli non cambierebbe le loro vite.1
Gli esseri umani per natura sfuggono all’ignoranza e tendono alla conoscenza; quest’ultima costituisce perciò una delle dimensioni spirituali dell’esistenza degli esseri umani.
Gli esseri umani compiono alcune delle loro azioni influenzati da una serie di motivazioni etiche più che dall’intento di ottenere un beneficio o evitare un danno. Essi compiono tali azioni spinti dall’idea che la natura umana le richieda.
Supponiamo che un uomo resti bloccato in un orribile deserto. Egli è privo di cibo ed è in pericolo di vita. All’improvviso appare un’altra persona, lo aiuta e lo salva da una morte certa; successivamente ognuno di loro se ne va per la propria strada, ed essi non si vedono per un lungo periodo.
Molti anni dopo l’uomo incontra il suo salvatore, nel frattempo caduto in disgrazia, e ricorda quando fu salvato da morte certa. In questo caso, la sua coscienza non gli impone di fare qualcosa? Non ricorda il detto: “Alla bontà si deve rispondere con la bontà”? Non pensa che “uno dovrebbe essere riconoscente al suo benefattore”? La risposta a queste domande è senz’altro affermativa.
Quale sarebbe il giudizio di gente coscienziosa se egli aiutasse l’uomo miserabile? E quale sarebbe il medesimo nel caso in cui egli passasse senza neanche degnarlo di uno sguardo e senza nessuna reazione?
Nel primo caso sicuramente la risposta sarebbe l’ammirazione degli altri uomini; mentre nel secondo caso questi maledirebbero certamente l’uomo ingrato.
Quindi, la voce della coscienza:
“Quale altro compenso del bene se non il bene?” (Sacro Corano, Sura ar-Rahman, 55:60).
Il fatto che le coscienze degli altri ritengano che la riconoscenza dovrebbe essere ammirata e l’ingratitudine maledetta, è promossa dalla coscienza morale ed è chiamata virtù etica, e quest’ultima è lo stimolo per molte delle azioni degli esseri umani.
In altre parole, gli esseri umani compiono molte delle loro azioni in virtù di valori etici, e non nella speranza di ricompense materiali. Questo è un altro attributo specifico degli esseri umani, di natura spirituale, ed è una delle sue dimensioni spirituali di cui sono prive le altre creature.
La virtù e i valori etici non hanno alcun significato per gli animali.
Un’altra dimensione spirituale degli esseri umani è il loro interesse per la bellezza. Questa, in effetti, costituisce una parte importante dell’esistenza umana e riguarda tutti gli aspetti della loro vita. Essi indossano differenti tipi di vestiti contro il clima freddo e quello caldo e, allo stesso tempo, pongono particolare attenzione al colore e alla foggia di ogni abito.
Essi costruiscono abitazioni, attribuendo notevole importanza alle caratteristiche estetiche; anche nello scegliere una tovaglia e i piatti per servire il cibo, e nella stessa preparazione del cibo e della tavola seguono dei principi estetici. Agli esseri umani piace avere un viso attraente, un nome che suoni bene, abiti belli da indossare, e una scrittura gradevole. Essi si aspettano che le loro città e le loro strade siano belle, e preferirebbero vedere magnifici paesaggi. In generale, essi sono interessati a estendere un alone di bellezza a tutti gli aspetti della loro vita.
L’estetica, invece, non è particolarmente rilevante per gli animali. Per essi, la bruttezza della mangiatoia non riveste nessun significato; è importante piuttosto ciò che essa contiene.
A un animale, una bella sella, una vista gradevole, una costruzione ben progettata e cose simili non importano assolutamente.
Il bisogno di adorare il Divino e pregare è una delle più costanti e antiche manifestazioni dell’anima dell’essere umano, e una delle componenti principali della sua vita.
Uno studio dei resti delle varie civiltà umane rivela che l’adorazione e la preghiera sono sempre state presenti ovunque vi fosse l’essere umano. La forma di adorazione e il tipo di divinità sono stati in ogni modo mutevoli, dalle danze ritmiche collettive con differenti invocazioni e formule ai più sublimi ossequi, alle riverenze, fino alle preghiere più complesse. La divinità poteva essere rappresentata da una pietra, da un legno, fino alla pura contemplazione metafisica, all’Eterno Auto-Esistente che è oltre il tempo e lo spazio.
Non furono i Profeti (A)2 a introdurre l’adorazione; essi insegnarono semplicemente alla gente i tipi di rituale per l’adorazione e li allontanarono dalla venerazione di altro all’infuori del Dio Unico (politeismo). Secondo alcuni precetti religiosi ritenuti certi, e secondo il punto di vista di alcuni studiosi di religione come Max Müller,3 gli esseri umani erano inizialmente monoteisti e veneravano il Dio Unico; l’idolatria, la venerazione delle stelle, della luna o di un altro essere umano sono tarde deviazioni.
Gli esseri umani, infatti, non iniziarono con l’adorazione degli idoli, degli uomini o di altre creature per poi approdare gradualmente, con l’evoluzione della civiltà, al monoteismo.
Il senso dell’adorazione, che si può definire come “sentimento religioso”, esiste in tutti gli esseri umani.
Questa opinione è sostenuta da Erich Fromm4, il quale afferma: “L’uomo potrebbe venerare gli esseri viventi, le piante, gli idoli d’oro, le pietre, il Dio invisibile, un uomo divino o un carattere demoniaco. Egli potrebbe venerare anche i suoi antenati, la sua patria, la sua classe sociale o il partito a cui egli appartiene e i soldi o il successo… Egli potrebbe coscientemente distinguere tra la sua religione e le credenze irreligiose. Egli potrebbe, al contrario, pensare di essere senza fede. Non è un problema se egli crede in una religione o meno. Il problema è a quale religione egli crede”.5
Iqbal6 riprende la seguente opinione di William James7: “L’impulso di pregare è una conseguenza necessaria del fatto che anche se la parte più forte dei sé empirici di un uomo è un sé di genere sociale, egli può trovare il suo unico compagno perfetto solo nel mondo della riflessione (auto-riflessione) […] Molti uomini, occasionalmente o ripetutamente, fanno riferimento a esso nei loro animi. Il più umile su questa terra può sentirsi vero e valido grazie a questa più alta sensazione”.8
James, generalizzando un sentimento comune a tutti gli esseri umani, dice: “È probabile che gli uomini differiscano di molto nel grado in cui essi sono influenzati da questo spettatore interno. Esso è una parte essenziale della coscienza di alcuni uomini rispetto ad altri: quelli che hanno più coscienza sono probabilmente gli uomini più religiosi. Ma sono sicuro che anche quelli che affermano di esserne privi ingannano se stessi, e in realtà sono in qualche modo religiosi”.9
L’attribuzione di caratteristiche eccezionali ad eroi, a sapienti o religiosi, indica il desiderio dell’essere umano di santificare e lodare certi esseri, che deriva dalla sua innata predisposizione a voler venerare un’entità a lui superiore. Ciò può essere altresì riscontrato nelle lodi esagerate rivolte al giorno d’oggi a capi nazionali o di partito, a principi e dottrine, bandiere e patrie, come pure nell’entusiasmo con cui la gente si dedica a tutte queste cose.
Il sentimento di adorazione è, in effetti, un sentimento intrinseco diretto verso una totale perfezione che vada oltre i difetti, le carenze e le imperfezioni. La venerazione di qualche creatura è, quindi, una deviazione dal sentimento originale.
Gli esseri umani in stato di adorazione desiderano volare dal loro limitato sé verso l’unione con una realtà senza mancanze, limitazioni o morte.
Come disse Albert Einstein10: “L’individuo è cosciente della vanità delle aspirazioni e degli obiettivi umani e, per contro, riconosce l’impronta sublime e l’ordine ammirabile che si manifestano tanto nella natura quanto nel mondo del pensiero.”11 Ciò è esposto ulteriormente da Iqbal, che scrive: “…L’adorazione è una comune azione vitale attraverso cui la piccola isola del nostro carattere scopre la sua posizione dentro un “tutto” più grande.”12
La preghiera e l’adorazione manifestano l’esistenza di una “possibilità” e di un “desiderio” nell’essere umano: la possibilità di avanzare verso un luogo oltre gli eventi materiali e il desiderio di approdare a un più alto ed esteso orizzonte. Un simile desiderio è caratteristico di tutti gli esseri umani; questo è il motivo per il quale la preghiera e l’adorazione formano un’altra dimensione spirituale nelle loro anime.
Il differente grado di influenza di tali desideri sull’essere umano e la capacità di discernere tra essi verrà discusso successivamente.
La potenza e la forza non hanno bisogno di nessuna spiegazione: qualsiasi fattore avente come risultato un effetto di qualche tipo viene definito potenza o forza. Tutte le creature possono essere considerate fonti di una o più forze o proprietà. Ogni creatura possiede quindi potenza o forza, a prescindere dal fatto che sia un oggetto inanimato, una pianta, un animale o un essere umano. La potenza unita all’intelligenza e alla comprensione può esser definita “potenzialità” o “capacità”.
Un’altra distinzione tra animali, esseri umani inclusi, e piante o oggetti inanimati, è che i primi, a differenza di questi ultimi, impiegano alcune delle loro capacità sotto l’influenza di desideri o paure, seguendo cioè la propria volontà.
Un magnete, per esempio, ha il potere di attrarre il ferro a sé, in una sorta di determinazione naturale. Non è conscio della propria azione, né un qualche desiderio o paura lo hanno spinto ad attrarre il ferro a sé. Questo vale anche per il fuoco quando brucia, per le piante quando crescono e per gli alberi quando fioriscono e danno i frutti. Un animale che cammina è diverso: è conscio del fatto che sta camminando e compie quest’azione volontariamente; se non vuole, non è possibile costringerlo a farlo. Questo è il motivo per il quale si dice “un animale è un essere che si muove di volontà propria”. In altre parole, alcune delle capacità sono controllate dalla determinazione e dalla volontà degli esseri animali.
Gli esseri umani in questo non fanno eccezione, ma c’è una distinzione considerevole tra la loro determinazione e quella degli animali. In fondo, la volontà dell’animale segue i suoi istinti ed è impotente di fronte ad essi; quando un animale è stimolato a compiere una certa azione, la compie d’istinto. Esso non ha alcuna possibilità di opporsi ai suoi stimoli e di determinare o pensare riguardo a una preferenza nei desideri o nei comandi che non sono direttamente legati a essi e che sono necessari solo in futuro.
Gli esseri umani, al contrario, sono capaci di resistere e di opporsi ai loro desideri e di non metterli in pratica. Questa loro capacità è dovuta al potere della loro volontà che è, a sua volta, sotto il comando del loro intelletto; cioè l’intelletto decide e la volontà agisce.
È chiaro quindi che gli esseri umani hanno determinate capacità che gli animali non possiedono. Da un determinato punto di vista, in essi risiedono specifici desideri e forze spirituali d’attrazione che non esistono negli altri esseri viventi, e che forniscono loro la possibilità di estendere la sfera della loro attività oltre il limite del mondo materiale, a cui gli altri animali sono confinati, e li dirigono verso il sublime empireo.
Da un altro punto di vista, l’esistenza dell’intelletto e della forza di volontà negli esseri umani permette loro di resistere ai propri impulsi, di liberarsi dalla loro influenza e di governarli. Essi possono gestire le loro inclinazioni e tenerle sotto controllo grazie all’intelletto. Essi possono assegnare dei limiti a ognuna delle proprie inclinazioni, raggiungendo così la libertà “spirituale”, che è la più preziosa tra tutti i tipi di libertà.
L’intelletto, la caratteristica più rilevante degli esseri umani che non esiste nelle altre creature, è la ragione per cui sono assegnati loro dei doveri ed è, allo stesso tempo, la fonte della loro capacità di scelta. Esso, infatti, è il potere che li trasforma veramente in esseri liberi, con libertà di scelta e con una volontà.
I desideri e le aspirazioni sono una specie di ponte tra gli esseri umani e ciò che al di fuori di essi li attrae. Più gli esseri umani si sottomettono a tali desideri, più essi diventano passivi, impotenti e senza carattere, affidando così il loro destino a questo elemento esterno, che li attira ora da una parte e ora da un’altra. L’intelletto e la volontà, al contrario, sono forze interiori che accrescono il vero carattere di un individuo.
Quando gli esseri umani fanno affidamento sul loro intelletto e sulla loro volontà, essi fanno appello a tutte le loro potenzialità e capacità, sradicando le influenze esterne e divenendo un’“isola indipendente”. È attraverso l’intelletto e la volontà che essi diventano i veri “padroni” di se stessi e rafforzano il loro carattere.
La padronanza di sé e la liberazione dalla seduzione dei desideri costituiscono la meta fondamentale dell’educazione islamica. L’obiettivo ultimo di questa formazione è la libertà spirituale.
L’Islam desidera profondamente che l’individuo sia capace di conoscere il proprio “Sé” e la propria condizione effettiva nel mondo della creazione, al fine di scoprire la sua collocazione nell’universo. Il Sacro Corano insiste molto affinché l’essere umano conosca se stesso e la sua vera natura e comprenda la sua posizione nel mondo, in modo tale da raggiungere l’eminente posizione per la quale è stato creato.
Il Sacro Corano è un Libro che insegna all’essere umano come realizzare se stesso, non una filosofia teorica ristretta alle controversie dottrinali. Esso propone idee che dovranno poi avere un’applicazione pratica. Il Sacro Libro tende a far sì che ogni individuo scopra il proprio vero “Sé”. Questo “Sé” non è quello che rivela la carta d’identità (nome proprio, nome di famiglia, data di nascita, nazionalità, stato civile, numero di figli e così via). Questo “Sé” è ciò che è chiamato lo “Spirito Divino”. Conoscere realmente questo “Sé”, implica che gli esseri umani abbiano consapevolezza della loro dignità e nobiltà; essi dovrebbero riconoscerne la sacralità, il significato e l’importanza dei valori etici e morali, comprendendo che ogni grettezza li collocherebbe molto al di sotto della loro posizione.
Il Sacro Corano parla di un “individuo eletto”, che non è stato creato accidentalmente, per esempio in conseguenza di uno scontro e unione di atomi, e che, per questo motivo, ha una missione da compiere e delle responsabilità che incombono su di lui.
Senza dubbio l’essere umano è la più potente creatura sulla Terra: se noi paragonassimo la terra e le sue creature a un villaggio, l’essere umano occuperebbe la posizione di capo del villaggio. Cerchiamo però di comprendere se egli è un capo scelto o si è imposto agli abitanti del villaggio con la forza.
I filosofi materialisti ritengono che l’autorità dell’essere umano sia un mero prodotto della sua coercizione e della sua forza; essi ritengono che egli abbia ottenuto la sua forza e potenza dal caso. Pensare in questo modo rende l’“avere una missione e delle responsabilità” insignificante. Quale missione? Quale responsabilità? Da chi? Per chi?
Il Sacro Corano, invece, considera l’essere umano come un essere eletto che merita l’autorità sulla terra in base alla sua competenza e al suo valore, non tramite l’esibizione della forza in un’assurda lotta per la sopravvivenza; egli è stato scelto dall’Essere Divino, Iddio, e per questo motivo egli è responsabile davanti a Lui. Credere che l’essere umano sia stato scelto, e che questa scelta abbia uno scopo preciso, genera nelle persone determinati effetti psicologici ed educativi; credere invece che egli sia solo il prodotto di alcuni accadimenti casuali comporta altri tipi di conseguenze.
Conoscenza del “Sé” significa essere consapevoli della propria posizione nell’universo, vuol dire prendere coscienza di una natura che non è legata soltanto alla materia, ma che è il raggio di uno Spirito Divino. Gli esseri umani sovrastano gli angeli in saggezza, hanno libero arbitrio e sono responsabili di se stessi e degli altri, sono liberi di abitare e migliorare il mondo.
“…Vi creò dalla terra e ha fatto sì che vi dimoraste…” (Sacro Corano, Sura Hud, 11:61).
Gli esseri umani non dovrebbero dimenticare di essere i luogotenenti d’Iddio e che la superiorità che è stata loro conferita non deve cadere nel vuoto, servire solo a stabilire un’autocrazia o ad accaparrarsi egoisticamente ogni cosa senza credersi responsabili.
Gli insegnamenti islamici indicano che la scuola divina dell’Islam rivolge una notevole attenzione a tutti gli aspetti dell’essere umano: fisico, materiale e spirituale, mentale ed emotivo, sociale ed individuale. Non solo l’Islam non trascura nessuno dei sopra citati aspetti, ma concentra una particolare attenzione sulla formazione di ognuno di essi in base a ben determinati principi.
Segue una breve esposizione di questa formazione.
L’Islam condanna severamente la formazione fisica intesa come sviluppo dell’io concupiscente e abbandono alle passioni, ma considera una necessità l’educazione del corpo, intesa come accurato mantenimento della propria salute. Considera illecito ogni atto che possa nuocere all’organismo, giungendo anche ad annullare il dovere di seguire un precetto religioso come il digiuno nei casi in cui l’osservanza del precetto recherebbe danno alla salute.
Secondo l’Islam, qualunque pratica nociva è considerata illecita, e per questo negli Aĥādith13 sono state prescritte molte regole di comportamento al fine di preservare la buona salute del corpo.
Alcune persone che non distinguono tra formazione fisica, relativa alla salute del corpo, e alimentazione dell’ego, intesa come sviluppo dell’io concupiscente, che riguarda la moralità, potrebbero supporre che l’Islam sia contrario alla cura della propria salute, ma disapprovare la crescita negativa dell’io concupiscente non significa legittimare l’indifferenza verso la salute o ciò che a essa può nuocere. Questa è una incomprensione abbastanza generalizzata e inoltre molto pericolosa, perché vi è una differenza evidente tra le due cose.
Nutrire l’ego e alimentare i desideri sensuali sono comportamenti condannati dall’Islam, perché dannosi per la formazione dell’anima, in quanto producono mali psicologici e spirituali e vanno contro la formazione corretta del corpo.
I desideri voluttuosi portano a eccedere nelle proprie azioni e ciò provoca disturbi fisici, fino a causare vere e proprie malattie.
Il pensiero islamico incoraggia fortemente la formazione dell’intelletto, del pensiero, la ricerca della sua indipendenza e la lotta contro qualsiasi cosa possa indebolire questa libertà. La dottrina islamica biasima, invece, l’imitazione dei predecessori, dei cosiddetti uomini insigni, l’imitazione degli atteggiamenti etici della maggioranza e simili.
La formazione della propria volontà, la libertà spirituale e la padronanza dei propri desideri costituiscono, infatti, il fondamento di molti atti di adorazione e insegnamenti islamici.
L’Islam incoraggia altresì lo sviluppo del sentimento che porta alla ricerca della verità e al desiderio della conoscenza, e lo sviluppo della sensibilità morale, del senso estetico e degli atti di adorazione.
Le creature del mondo sono divise in due gruppi: esseri animati ed esseri inanimati.
Le creature inanimate non hanno alcun ruolo nello sviluppo di se stessi: l’acqua, il fuoco, le pietre e la terra non hanno alcun ruolo nella realizzazione e nel perfezionamento di se stessi, ma si realizzano solo sotto l’influenza di fattori esterni e, occasionalmente, raggiungono un certo tipo di perfezione. Essi però non compiono sforzi o attività di qualsiasi tipo per sviluppare la propria esistenza.
Le creature animate, le piante, gli animali e gli esseri umani, invece, compiono sforzi specifici per preservare se stessi dai vari pericoli, per assumere sostanze con cui alimentarsi e per riprodursi.
Nelle piante è presente una serie di potenzialità naturali che determinano il loro futuro. Alcune di queste permettono alle piante di assorbire sostanze dalla terra e dall’aria, altre permettono loro di crescere attraverso ciò che hanno assimilato, altre ancora ne favoriscono la riproduzione.
Anche gli animali posseggono queste potenzialità naturali in aggiunta ad altre intuitive, come i cinque sensi e le inclinazioni istintive, grazie alle quali possono mettersi in salvo quando sono in pericolo, e difendere la propria crescita individuale e la sopravvivenza della specie.
Quanto agli esseri umani, essi possiedono tutte le facoltà naturali e intuitive che hanno le piante e gli animali, ma hanno inoltre le straordinarie capacità della ragione e della volontà, le quali a un grado elevato aprono la via alla costruzione del loro futuro come essi lo desiderano.
Da questa analisi possiamo dedurre i seguenti punti:
• Alcune entità non hanno nessun ruolo nello stabilire il loro futuro: esse sono chiamate esseri inanimati.
• Altre creature giocano una sorta di ruolo inconscio e forzato che la natura esige per supportare la loro crescita e la loro sopravvivenza: esse sono chiamate piante.
• Un terzo gruppo di esseri gioca un ruolo più sviluppato nella protezione della propria vita; questo ruolo è conscio, ma non svolto liberamente. È fatto grazie alla conoscenza di se stessi e dell’ambiente circostante, e sotto l’influenza di certi desideri istintivi. Essi salvaguardano così se stessi per il loro futuro e sono chiamati animali.
• Gli esseri umani, che costituiscono l’ultima categoria di creature, impegnano se stessi nell’adempimento di un ruolo più effettivo ed esteso, così da determinare spontaneamente il proprio destino. Questo ruolo è adempiuto coscientemente e con libera volontà; gli esseri umani, in altre parole, sono coscienti di se stessi e del proprio contesto e decidono liberamente circa il proprio futuro, secondo il loro intelletto e la loro volontà.
È ovvio che la libertà dell’essere umano nello svolgere il proprio ruolo è più estesa di quella degli altri animali. Essa mira all’autocoscienza e nasce da tre caratteristiche inerenti la natura degli esseri umani:
• La vastità della perspicacia e della consapevolezza umana. Gli esseri umani, attraverso la conoscenza, estendono i confini della loro sagacia, sviluppano la consapevolezza di appartenere alla natura, ne apprendono l’essenza e le leggi: in questo modo si rendono capaci di conciliare la natura e la vita umana nel modo migliore.
• La vastità dei desideri, tema accennato nella seconda parte “Una creatura multi-dimensionale”.1
• La capacità intrinseca che porta alla maturazione appartiene esclusivamente agli esseri umani, e riguardo a questa caratteristica nessun’altra creatura è simile a loro.
È doveroso menzionare che se anche alcuni esseri animati, come piante e animali, fino a un certo grado manifestano dei mutamenti – il loro comportamento può essere alterato attraverso una serie di fattori formativi, come indicato dagli esperimenti su piante e animali - nessuno di essi è capace di produrli autonomamente. Anzi, sono gli esseri umani che causano tali mutamenti in essi. Inoltre la portata dei mutamenti che sono in grado di manifestare nelle loro capacità fisiche e mentali è inferiore a quella che sono in grado di sviluppare gli esseri umani.
Al contrario degli animali, che nascono con specifiche caratteristiche, gli esseri umani sono creature potenziali per quanto riguarda le loro caratteristiche e abitudini. Essi, infatti, sono privi di ogni abitudine al momento della nascita, ma nel corso della vita sono in grado di sviluppare un numero indefinito di qualità e virtù, determinando una serie di “dimensioni secondarie” che si aggiungono a quelle innate.
In base alle leggi della creazione, l’essere umano è l’unica creatura dotata della capacità di forgiare come desidera le linee guida del suo futuro. Questo implica che la forma psicologica degli esseri umani, nonché i comportamenti etici, si sviluppano per lo più dopo la nascita: essi potenziano le proprie qualità crescendo, contrariamente agli organi fisici che sono completati nel grembo materno e a differenza delle caratteristiche degli animali che si definiscono e completano nel periodo embrionale.
Questa è la ragione per cui tutte le creature, animali compresi, sono ciò che sono state create, mentre l’essere umano diventa ciò che egli stesso vuole essere. Per questo motivo i membri di ogni specie animale hanno caratteristiche psicologiche comuni così come hanno organi fisici uguali: tutti i membri delle specie del gatto, per esempio, condividono gli stessi tratti, e ciò vale anche per tutti i cani, tutte le formiche e così via, e anche se ci sono differenze, esse sono minime. Fra i membri della razza umana è invece possibile notare un’infinita varietà di abitudini e caratteristiche che rendono l’essere umano l’unica creatura in grado di formare se stessa.
Gli Aĥādith avvertono che tutti gli esseri umani verranno resuscitati nel Giorno del Giudizio secondo le loro virtù spirituali acquisite, piuttosto che per le loro sembianze fisiche: essi potrebbero essere ricevuti alla presenza di Dio con la forma degli animali a cui assomigliarono maggiormente in vita.
Soltanto coloro che avranno raggiunto un’etica “umana”, le cui abitudini e virtù morali e le dimensioni secondarie della loro anima sono in accordo con la dignità e il valore umano, avranno un’apparenza umana davanti a Dio.
Gli esseri umani dominano la natura e la riconciliano liberamente con le proprie necessità attraverso la conoscenza scientifica. Essi maturano e determinano il loro futuro sulla base del potere di autorealizzazione che esiste in loro. Tutte le scuole di etica, gli insegnamenti religiosi e le dottrine educative mirano a guidare la persona verso questa meta: il proprio perfezionamento. La Retta Via è quella che dirige gli esseri umani verso la beatitudine, e la via errata è quella che li guida verso avversità e corruzione. È scritto nel Sacro Corano:
“…E gli abbiamo indicato la Retta Via, sia esso riconoscente o ingrato”. (Sacro Corano, Sura al-Insan, 76:3)
(L’essere umano, che è libero e può realizzare se stesso, ha due scelte: o sceglie la via a cui Dio lo guida e diviene riconoscente, oppure sceglie un’altra via e diviene ingrato).
Come è stato discusso in precedenza, la conoscenza e la fede giocano ruoli diversi e significativi nell’edificazione del futuro degli esseri umani. La conoscenza mostra loro la via per la creazione dell’avvenire secondo la loro volontà. La fede, invece, li guida sul modo di costruire e migliorare se stessi e il futuro, al servizio di se stessi e della società.
Il sentimento religioso impedisce all’essere umano di costruire il domani in base a inclinazioni materiali e individuali, guida la volontà umana oltre i limiti edonistici e le insegna a incorporare la spiritualità tra i propri desideri.
La conoscenza è uno strumento sotto il controllo della volontà dell’essere umano, che gli permette di modellare la natura secondo il suo comando e la sua volontà. Il modo in cui la natura dovrebbe essere utilizzata per produrre beni a vantaggio della società o per aumentare il potere di pochi, non ha niente a che fare con la conoscenza in sé: riguarda piuttosto il tipo di esseri umani che fanno uso di questo sapere.
La fede, al contrario, è una forza che governa l’essere umano, ne prende la volontà sotto il suo comando, guidandolo sul cammino della verità e dell’etica. La fede “costruisce” l’essere umano e quest’ultimo, a sua volta, “costruisce” la natura. Quando la conoscenza e la religiosità sono presenti e in armonia nell’essere umano, l’umanità, e di conseguenza il mondo, prosperano.
È abbastanza ovvio che, benché l’essere umano sia libero di formare la propria spiritualità, di modificare il suo ambiente naturale come vuole e creare il futuro ideale, egli è piuttosto limitato nelle azioni. Gli esseri umani godono di una libertà relativa che è confinata a uno specifico dominio, all’interno del quale essi possono scegliere un futuro prosperoso o disastroso. I seguenti fattori fissano e/o influenzano i limiti dell’essere umano.
Gli individui nascono inevitabilmente con una natura umana, in quanto i loro genitori sono un uomo e una donna. Un insieme di tratti ereditari come il colore della pelle, quello degli occhi e tutte le varie particolarità fisiche, vengono ereditati dai propri genitori, che, a loro volta, li hanno ereditate dalle precedenti generazioni.
Gli esseri umani non scelgono di avere simili attributi, ma questi sono automaticamente trasmessi a loro quale eredità.
Gli ambienti naturali e geografici e, in particolare, l’area in cui l’essere umano cresce, avranno inevitabilmente alcuni tipi di effetti sul suo corpo e sul suo spirito.
Il caldo, il freddo o i climi temperati avranno come conseguenza il fatto che l’essere umano è soggetto a differenti tipi di stati d’animo. Anche le montagne, il deserto e altri elementi territoriali influiscono sull’essere umano.
L’ambiente sociale è un altro importante fattore nella creazione delle virtù morali e spirituali dell’essere umano.
Il linguaggio, le tradizioni sociali comuni e la religione sono tra i fenomeni che sono imposti o indotti dall’ambiente sociale.
Per quanto riguarda l’ambiente sociale, gli esseri umani sono sotto l’influenza decisiva degli eventi passati e presenti. Nel complesso, c’è un legame diretto tra il futuro e la storia passata di ogni creatura. Sono due parti di un processo continuo: il passato è il seme da cui cresce il futuro.
Sebbene gli esseri umani siano incapaci di spezzare completamente i loro legami con l’eredità, l’ambiente sociale e naturale, la storia e il tempo, essi possono ribellarsi contro queste costrizioni, porre fine al loro dominio e liberarsi di essi.
Essi sono capaci di determinare alcuni tipi di cambiamento attraverso la loro ragione e la conoscenza da un lato, il loro potere di volontà e la fede dall’altro; a questo punto essi possono adattare questi fattori ai propri desideri in modo da controllare le redini del loro destino.
È convinzione di molti che la predestinazione sia un fattore primario che impone limitazioni alla libertà dell’essere umano. Noi, al contrario, non l’abbiamo nominata tra i fattori che limitano la sovranità umana. Perché? Perché la predestinazione non esiste o forse perché non è un fattore limitante?
La predestinazione certamente esiste, ma essa non restringe la libertà dell’essere umano. Qada' è l’indiscutibile Decreto Divino riguardo agli eventi e ai fenomeni,2 mentre Qadar è la misurazione di essi.3
Secondo la teologia, è assolutamente certo che la predestinazione non riguarda gli eventi in modo diretto e senza intermediario. Il Decreto Divino ordina ogni singolo evento attraverso le proprie cause relative. Esso esige un modello di organizzazione del mondo causale basato sulla dialettica causa- effetto.4
La libertà dell’essere umano è basata sul suo intelletto e sulla sua volontà, ma egli è allo stesso tempo limitato da fattori storici, ambientali ed ereditari. Possiamo ascrivere questi limiti alla predestinazione e all’ordine di causa ed effetto propri del mondo.
Da ciò possiamo allora constatare che il destino non è un fattore limitante; il condizionamento che la predestinazione impone agli esseri umani è paragonabile a quella dovuta ai fattori ereditari, sociali, storici e non altro. Anche la libertà dell’essere umano è decretata dalla predeterminazione: essa fa in modo che egli sia un essere in possesso di sapienza e libero arbitrio, in grado di liberarsi dalla sottomissione alla maggior parte delle costrizioni sociali e ambientali e dirigere il proprio destino5.
Come menzionato in precedenza, l’essere umano è una creatura portata a ubbidire. Egli è in grado di vivere sotto una certa struttura di leggi per lui decretate. Questa attitudine non esiste nelle altre creature, che seguono forzatamente solo le leggi e le regole naturali e non altri tipi di ordini.
In altre parole, noi non possiamo decretare leggi specifiche e comunicarle ai boschi, agli alberi, ai fiori, alle mucche, ai cavalli o alle pecore, anche se vanno a loro beneficio: se si vuole che queste creature agiscano secondo le regole a loro favore, bisogna in qualche modo obbligarle.
L’essere umano, invece, è l’unica creatura capace di agire entro limiti fissati da una struttura di leggi convenzionali. Ebbene, poiché queste leggi sono stabilite e poste su di essi da un legislatore legittimo e poiché la perseveranza nell’adempierle è di solito accompagnata da difficoltà e impegno, esse vengono chiamate “doveri” (Taklif).
Per far in modo che l’essere umano si senta vincolato a compiere doveri specifici, il legislatore deve tenere ben presenti le seguenti condizioni essenziali.
Nel corso della vita, l’essere umano giunge a un’età in cui affronta un insieme di repentini cambiamenti nel proprio corpo, nei sentimenti e nei pensieri, che viene chiamato maturità. Ognuno, infatti, è soggetto a una crescita naturale.
Non è però possibile determinare esattamente una data precisa per la maturità, valida per tutti gli individui; è probabile che alcuni raggiungano il proprio perfezionamento naturale prima di altri. Le caratteristiche individuali, le circostanze regionali e ambientali contribuiscono a ritardare o ad anticipare l’età in cui si raggiunge la maturità.
È certo che le donne raggiungono il perfezionamento prima degli uomini. Dal punto di vista legislativo, la maturità viene determinata in base a una età ben precisa, onde poter stabilire un criterio oggettivo per tutti. Questo tipo di consapevolezza si definisce maturità legale; è quindi possibile che alcune persone raggiungano la maturità naturale prima di quella legale.
Secondo la maggioranza dei giurisperiti sciiti6 l’età legale per la maturità del sesso maschile è il compimento del quindicesimo anno secondo il calendario lunare7, per il sesso femminile la maturità incomincia invece al compimento del nono anno secondo il calendario islamico.
In generale, il raggiungimento dell’età legale è una delle condizioni per l’adempimento dei propri doveri.
Ciò significa che una persona che non abbia raggiunto l’età legale non è responsabile davanti alla legge, salvo nel caso in cui si provi che la persona abbia raggiunto la maturità naturale prima di quella legale.
La sanità mentale è un’altra condizione per l’adempimento di doveri. Un individuo immaturo non è ritenuto responsabile di determinati comportamenti, e quando diventa maturo non è obbligato a compiere ciò che non ha fatto prima di aver raggiunto la maturità; non è responsabile, per esempio, per le preghiere non eseguite prima della maturità legale. Allo stesso modo una persona non sana di mente, mentre è in questo stato, non ha nessun dovere; se guarisse e riacquistasse la sanità mentale, non sarebbe obbligata a recuperare i doveri (come le preghiere e il digiuno) che non ha compiuto.
Bisogna però puntualizzare che ci sono determinati doveri riguardanti i beni dei bambini e delle persone insane che devono essere adempiuti in ogni caso: si tratta della zakah e del khums8 da applicare ai beni dell’orfano o dell’insano di mente. Nel momento in cui abbiano raggiunto la maturità o riacquistato la sanità mentale, essi devono pagare queste tasse, nel caso in cui i legittimi tutori non lo abbiano già fatto in precedenza.
Gli esseri umani devono essere informati riguardo ai loro doveri, perché è ovvio che possono adempierli solo se ne sono consapevoli.
Supponiamo che un legislatore emani una certa legge, ma non ne informi coloro ai quali si vorrebbe applicarla; essi non potrebbero agire in accordo a quella legge e, se commettessero un’azione contraria a essa, non potrebbero dunque essere puniti. Per questo motivo i giurisperiti islamici deplorano la punizione di un individuo che, non a causa di una propria mancanza, è inconsapevole di una legge. Questo comportamento degli organi legislativi è sottolineato nel principio definito “La scorrettezza del punire prima del dare consapevolezza delle conseguenze dell’azione.”
Il Sacro Corano stesso esprime frequentemente questo concetto e assicura che nessun popolo sarà punito a causa della violazione delle Leggi Divine, se non dopo esserne stato informato. Questa però non è una giustificazione per mantenersi intenzionalmente nell’ignoranza. L’essere umano deve acquisire conoscenza e informazioni sulla base delle quali agire.
Si narra che nel Giorno della Resurrezione i peccatori saranno chiamati alla Corte Divina di Giustizia e rimproverati per le mancanze nell’adempimento delle loro responsabilità. Verrà chiesta la ragione per cui non hanno adempiuto ai loro doveri, e se essi risponderanno “Eravamo ignoranti”, verrà allora chiesto loro: “Perché non avete cercato di conoscere i vostri doveri?”.
Il fatto che la conoscenza e la consapevolezza siano considerati come condizioni primarie per compiere i propri doveri, implica che l’essere umano sarà perdonato davanti a Dio solo quando egli, in caso di ignoranza, abbia fatto del suo meglio per imparare i propri doveri ma non vi sia riuscito.
I doveri assegnati all'essere umano devono accordarsi alla sua capacità di poterli portare a termine; non gli deve essere assegnato un dovere che non sarà in grado di compiere.
Le capacità umane sono indubbiamente limitate, per questo motivo ogni individuo dovrebbe ubbidire solo a quelle disposizioni non in contrasto con le proprie capacità. Egli è, per esempio, capace di acquisire conoscenza, ma su scala limitata in termini di tempo e capacità di apprendimento.
Un essere umano, anche geniale, raggiunge livelli di conoscenza anche elevati, ma gradualmente, durante il corso del tempo. Non sarebbe corretto costringere un individuo ad apprendere in una notte studi che normalmente durano degli anni o ad acquisire tutte le branche della conoscenza e del sapere. Nessuno è in grado di fare questo, quindi nessuna autorità saggia e giusta potrebbe costringere l’essere umano a ciò. È scritto nel Sacro Corano:
"Allah non impone a nessun'anima un carico al di là delle sue capacità…" (Sacro Corano, Sura al-Baqara, 2:286).
Questo implica che noi, per esempio, dobbiamo salvare un uomo che sta affogando, se siamo in grado di farlo; ma non c'è nessun "dovere" di salvare un aereo che sta precipitando, visto che siamo incapaci di prevenirne la caduta: per questo non saremo rimproverati da Dio per non averlo potuto fare.
Una cosa importante deve però essere sottolineata: così come è necessario ricercare la conoscenza e la consapevolezza, la mancanza di capacità specifiche non è una buona giustificazione per non cercare di acquisirle, sempre entro i propri limiti.
In alcuni casi acquisire determinate capacità diviene un dovere. Supponiamo, per esempio, di avere a che fare con un risoluto e potente nemico che intende violare i nostri diritti o attaccare i territori islamici, e supponiamo che al momento non siamo in grado di difendere noi stessi, e ogni sforzo da parte nostra implicherebbe una grave perdita e nessun risultato positivo potrebbe essere ottenuto adesso o nel futuro. In simili casi, è ovvio che non siamo obbligati a resistere a un simile forte nemico, ma, allo stesso tempo, è nostro dovere rafforzarci in modo tale che, in circostanze analoghe, non rimarremmo dei semplici spettatori inermi. Il Sacro Corano avvisa:
"Preparate, contro di loro, tutte le forze che potrete raccogliere e i cavalli addestrati per terrorizzare il nemico di Dio e il vostro....”. (Sacro Corano, Sura al-Anfal, 8:60).
Così come un individuo, o una comunità, può essere esposto alla punizione divina a causa del suo disimpegno nella ricerca della conoscenza, e la mancanza di quest'ultima non sarà una giustificazione sufficiente, un individuo o una comunità debole possono essere chiamati a rendere conto della negligenza nell'acquisire potenza, e la debolezza non servirà come giustificazione.
La libertà e il libero arbitrio sono altre condizioni per l’adempimento dei doveri. L’essere umano è responsabile solo nel momento in cui non vi sia costrizione o vincolo in ciò che deve compiere. Se c’è costrizione, il vincolo del dovere viene a mancare. La costrizione è data da una seria minaccia che per esempio induce l’essere umano a rompere il proprio digiuno per paura che possa danneggiare la sua salute.
Lo stesso vale per un uomo che ha i mezzi per potersi recare al pellegrinaggio alla Mecca (Ĥajj), ma è minacciato da un tiranno, e se vi si recasse lui e la sua famiglia subirebbero pericolose ripercussioni. In casi simili, quando l’essere umano è obbligato a fare o non fare una determinata cosa, egli non è più responsabile riguardo ai suoi doveri. Come annunciò il Profeta (S): “Non ci sarà nessun dovere dove vi è costrizione”.9
In una situazione di estremo disagio o pericolo, ove addirittura sia minacciata la sua stessa esistenza, un individuo può non adempiere ai doveri propri della religione. Qualcuno può, per esempio, essersi perso nel deserto e non trovare nient’altro che carcasse di animali con cui alimentarsi; in tale situazione non è obbligato a rispettare il divieto di mangiare carcasse.
La costrizione e l’obbligo o il vincolo sono quindi distinti l’uno dall’altro. Nel primo caso, un individuo è minacciato da una forza che lo obbliga a ignorare i suoi doveri a causa di un possibile danno a cui andrebbe incontro; nel secondo caso, l’essere umano non è obbligato o minacciato, ma egli stesso infrange la legge allo scopo di evitare situazioni avverse.
Il vincolo e la costrizione sono quindi diversi da due punti di vista:
• la costrizione è basata su una minaccia; nei casi di oppressione l’individuo cerca una soluzione per evitare la condizione spiacevole;
• nel caso dei vincoli, l’individuo cerca una soluzione per rimuovere una condizione indesiderata.
Deve essere inoltre sottolineato che costrizione e vincolo non possono essere considerati come condizioni generali per l’inadempimento dei doveri. Ciò dipende, innanzitutto, dall’intensità del danno o della perdita che deve essere evitata e, in un secondo tempo, dall’importanza del dovere che l’essere umano è costretto a non osservare a causa di questa costrizione. A nessuno, infatti, è concesso di agire a spese della vita di altri o di danneggiare la società o la religione, anche sotto costrizione o vincolo. Ci sono altresì determinati doveri che devono essere portati a compimento in ogni caso, non importa quali minacce, perdite e danni si possa subire.
Fino a questo momento abbiamo discusso delle condizioni per le quali l’essere umano è ritenuto responsabile dell’adempimento dei suoi doveri: se queste condizioni non sono presenti, egli non è tenuto a compiere l’azione in questione. C’é anche un insieme di altre condizioni che assicurano la validità dei suoi adempimenti.
Sappiamo che i precetti religiosi che concernono gli atti di culto e le transazioni materiali, cioè tutti gli atti propri del divenire empirico (vale a dire della vita su questa terra), per essere eseguiti correttamente devono essere conformi a determinate condizioni e criteri: senza l’osservanza di questi presupposti, i doveri di ognuno non possono essere considerati come adempiuti correttamente, e qualsiasi cosa si realizza risulta nulla e priva di senso. Queste condizioni, come quelle per l’obbligo di adempire ai doveri, sono molto numerose e similmente alle prime, e si possono dividere in generali e particolari.
Le condizioni particolari di un dovere sono soltanto sue caratteristiche peculiari e vengono acquisite con l’adempimento. Le condizioni generali saranno esposte di seguito.
Tra le condizioni generali per l’adempimento dei doveri e le condizioni per la loro validità c’è una relazione logica chiamata “caso generale e caso particolare”.
Ciò significa che certe condizioni si applicano sia all’obbligo dell’adempimento del dovere sia alla sua validità, altre si applicano alle prime, ma non alle seconde e viceversa.
Le condizioni per la validità a loro volta si dividono in tre parti: alcune si applicano alla validità degli atti di culto e delle transazioni, altre si applicano solo a una, le restanti solo all’altra.
La sanità mentale è considerata come una condizione che si applica sia all’obbligo dell’adempimento sia alla validità. Un individuo non sano di mente non è obbligato all’adempimento delle regole, siano esse atti di culto o transazioni, e, se le portasse a compimento, risulterebbero invalide. Se un folle, per esempio, compisse azioni come il pellegrinaggio, preghiere o digiuni al posto di altri {che non hanno potuto compierle in vita, N.d.T.}, esse non potrebbero essere considerate adempiute. Egli non può essere l’unico a pregare tra l’imam della preghiera10 e coloro che lo stanno seguendo, o l’unico collegamento tra le file durante le preghiere collettive.
Le capacità, per esempio la sanità mentale, sono condizioni fondamentali per l’obbligo dell’adempimento dei doveri come per la loro validità. Lo stesso si può affermare per la coercizione. Le azioni di un essere umano costretto con la forza sono prive di validità: quindi gli affari o i matrimoni che sono eseguiti sotto costrizione sono invalidi.
È da notare che la maturità è una condizione per l’obbligo dell’esecuzione dei doveri, ma non per la loro validità; ciò implica che una persona che non abbia raggiunto la maturità legale non ha il dovere di eseguire certi precetti religiosi, ma se ha raggiunto la capacità di discernere il bene e il male e agisce correttamente, le sue azioni sono valide. Per questa ragione, un bambino con simili caratteristiche può essere l’unico a pregare tra l’imam della preghiera e coloro che lo stanno seguendo o l’unico collegamento tra le file nelle preghiere collettive. Gli è anche permesso di eseguire atti di adorazione al posto di altri {che non hanno potuto compierle in vita, N.d.T.}.
Contrariamente agli atti di culto, secondo alcuni giuristi islamici, nelle transazioni la maturità si presenta come una condizione per la loro validità. A un bambino che è comunque capace di distinguere tra bene e male, non è quindi permesso condurre transazioni, come per esempio compravendite, contratti di affitto o matrimonio, per se stesso o per altri. Altri giurisperiti credono che un simile bambino non può fare ciò per se stesso, ma può farlo al posto di altri.
Inoltre, la consapevolezza e l’assenza di vincoli sono condizioni per l’obbligo dell’adempimento, ma non per la validità. Così, se qualcuno dovesse inconsciamente compiere un’azione che per caso s’accordasse con tutte le condizioni necessarie, quest’azione sarà valida. Analogamente, sono da considerarsi valide transazioni o matrimoni anche se dovuti a costrizione, per una serie di eventi. Per esempio, è da considerarsi valida la vendita di una casa da parte di una persona la quale, in condizioni normali, non sarebbe disposta a venderla, ma che a causa di un’emergenza ha immediato bisogno di denaro. Ed è altresì da considerarsi valido un matrimonio da parte di qualcuno che non vorrebbe sposarsi ma che contrae matrimonio in quanto ritenuto, su consulenza medica, necessario.
Tutto ciò evidenzia che gli affari forzati non sono validi, mentre quelli fatti per emergenza sono legittimi e corretti.
Appare ora necessario spiegare perché un’azione fatta per costrizione non è valida, mentre un’azione effettuata a causa di determinate circostanze lo è. Si potrebbe asserire che entrambi i casi sono simili per quanto concerne l’insoddisfazione della persona in questione, e che il loro reale consenso alla transazione manchi in entrambi.
Così come una persona minacciata che è obbligata a vendere la sua casa o a ritirarsi dagli affari per evitare la minaccia non è realmente soddisfatta dell’azione, anche un individuo che deve agire nello stesso modo per liberarsi da una condizione negativa (la spesa per una malattia, per esempio) è comunque scontento dell’atto. Il figlio di una persona è, per esempio, malato e quest’ultima, per far fronte alle spese mediche, è costretta a vendere, a malincuore, la propria casa.
Si potrebbe anche argomentare che chi è obbligato cerca di rimuovere una perdita incorsa, mentre colui che fa una certa azione a causa del contesto in cui si trova cerca di prevenire un possibile danno. Sebbene negli affari forzati ci sia la diretta interferenza di una seconda persona (un oppressore), mentre in quelli di emergenza non esiste nessuna simile intromissione –anche se gli interventi in forma di indiretto sfruttamento non sono rari nei casi di emergenza – non cambia la questione principale: la differenza tra le due situazioni e il motivo per cui le leggi islamiche invalidano gli affari conclusi nel primo caso, ma non quelli conclusi nel secondo, risiede altrove.
È vero che, in entrambi i casi, la persona affronta un bisogno urgente. Nel caso in cui c’è coercizione l’individuo ha bisogno di fare una determinata azione per evitare abusi da parte di colui o di coloro che lo stanno obbligando. La Legge islamica corre quindi in suo aiuto e, a dispetto della forza dell’oppressore, dichiara l’azione illegale. Invece, nel caso in cui non esiste costrizione esterna, la persona è comunque in disperato bisogno di soldi che otterrebbe soltanto attraverso l’infelice transazione. Anche in questo caso la Legge islamica corre in suo aiuto e dichiara l’affare legale, perché se questo tipo di transazione fosse dichiarata illecita, la persona avrebbe maggiori danni e si troverebbe in una situazione ancora peggiore.
Nel caso dell’esempio sopra menzionato, quindi, se la legge dichiarasse illegale la vendita della casa, il compratore non diventerebbe suo proprietario, mentre il venditore non diventerebbe possessore del denaro guadagnato dalla cessione e non sarebbe in grado di affrontare le spese mediche per il figlio. Questo è il motivo per cui i giuristi religiosi giudicano illecito un affare forzato, in favore quindi della persona costretta, mentre assolvono un comportamento attuato in una situazione di emergenza, perché altrimenti costituirebbe una ulteriore perdita per l’individuo in questione.
In una circostanza critica, potremo porci la domanda se è un diritto di altre persone prendere vantaggio dalla debolezza di qualcuno e comprare i suoi beni a un prezzo ingiusto, e la risposta è negativa. Considerando quindi che qualcuno commetta un atto illegale, ci si può chiedere se è solo l’affare a esser illegale, e corretti siano invece la persona costretta e colui che se ne approfitta. La faccenda è immorale solo per il primo e non per il secondo? Se invece è illecita per entrambi, l’approfittatore deve in qualche modo ricambiare la somma persa da colui che era costretto a compiere l’affare? Queste domande richiedono una profonda discussione.
La maturità psicologica è considerata una condizione per la correttezza, ma non per l’obbligo dell’adempimento dei doveri. Secondo le leggi islamiche, infatti, una persona che vuole ricevere una responsabilità sociale, come il matrimonio o un affare che riguarda i suoi beni, dovrebbe essere psicologicamente matura e in possesso delle altre condizioni generali, quali la maturità fisica, la consapevolezza e la libertà di scelta. Per maturità psicologica s’intende che una persona abbia la competenza necessaria per portar a compimento tale azione.
Per questo motivo, nella legislazione islamica, non è sufficiente che una persona sia sana di mente, matura e abbia libera scelta per poter decidere di sposarsi o per utilizzare come vuole i propri beni.
Un matrimonio, per esempio, sarà corretto solo se il ragazzo e la ragazza abbiano raggiunto sufficiente maturità psicologica, conoscano cioè il significato e la filosofia del matrimonio, le conseguenti responsabilità e comprendano gli effetti che esso comporta sul loro destino. Essi devono comprendere queste azioni consapevolmente, in modo tale da non agire avventatamente in una questione così significativa per la loro vita.
Questo è vero anche per un giovane che possiede ricchezza, tramite eredità o altra provenienza. Potrebbe non essere giusto consegnargli la sua ricchezza non appena abbia raggiunto la maturità fisica. Egli dovrebbe prima esser messo alla prova da un punto di vista psicologico, e le sue ricchezze gli dovrebbero essere date in amministrazione soltanto nel caso in cui egli venga giudicato competente a salvaguardare i propri beni e farne un uso sensato. In assenza di uno sviluppo psicologico sufficiente, il guardiano legittimo del bambino dovrebbe continuare la sua supervisione. Per questo il Sacro Corano ordina:
“Mettete alla prova gli orfani finché raggiungano la pubertà e, se si comportano rettamente, restituite loro i propri beni…” (Sacro Corano, Sura an-Nisa', 4:6).
L’essere umano possiede coscienza di se stesso e del mondo e tende inoltre a voler divenirne sempre più consapevole. Il suo perfezionamento, il suo miglioramento e la sua beatitudine dipendono da questi due tipi di consapevolezza.
Non è facile giudicare quale di queste due sia di maggior importanza rispetto all’altra. Alcuni valutano l’autocoscienza superiore alla coscienza del mondo, altri pensano il contrario. Il differente approccio rispetto a ciò rivela un aspetto della differenza che intercorre tra il modello di pensiero occidentale e quello orientale. Uno degli aspetti che differenziano la conoscenza e la fede può essere rivelato dal fatto che l’acquisizione del sapere è uno strumento verso la coscienza del mondo, mentre la fede è un mezzo per l’autocoscienza.
In ogni caso, l’apprendimento mira anche all’autocoscienza, ed è quello che attualmente fa la psicologia. La consapevolezza che si ottiene dalla conoscenza resta comunque statica e senza vita. Essa non evoca emozioni nell’essere umano, non risveglia le sue forze dormienti, al contrario dell’autocoscienza concessa dalla religione e che nasce dalla fede. L’autocoscienza religiosa si estende all’intera esistenza umana.
La consapevolezza che ricorda all’essere umano il vero “Sé”, che elimina il suo oblio, che infiamma la sua anima e lo sveglia, non è il prodotto della scienza e della filosofia. Le scienze e le filosofie lo rendono alieno verso se stesso e sono la causa della dimenticanza del vero “Sé”. Questo è il motivo per cui vi sono molti filosofi e sapienti insensibili e incoscienti di “Sé” e, al contrario, molte persone semplici e illetterate che ne sono pienamente coscienti.
L’appello all’autocoscienza quale “Chi conosce se stesso conosce il suo Signore” e “Non dimenticare il tuo Signore così da non dimenticare te stesso”, è il riferimento di tutti gli insegnamenti religiosi. Il Sacro Corano recita:
“Non siate come coloro che dimenticano Allah e cui Allah fece dimenticare se stessi. Questi sono i malvagi”. (Sacro Corano, Sura al-Hashr, 59:19).
È riferito che il Profeta (S) una volta disse: “Chiunque conoscerà se stesso conoscerà il suo Signore”.
E l’Imam 'Ali (A) affermò che “La conoscenza di Sé è la più benefica di tutti i tipi di conoscenza”. In un’altra occasione egli disse: “Mi sorprende che colui che perde qualcosa la cerchi, mentre chi perde se stesso non lo faccia!”.
La principale critica rivolta alla cultura propria dell’Occidente moderno dagli intellettuali di altre parti del globo è quella di essere una cultura basata sulla conoscenza del mondo ma dimentica dell’essere umano.
In questo tipo di cultura, l’essere umano è soltanto in grado di conoscere il mondo. Più egli consegue una conoscenza del mondo, più dimentica il proprio essere. Questo è il reale motivo della perdita di umanità in Occidente. Per parafrasare le parole del Sacro Corano, se l’essere umano perde il proprio “Sé”, a che serve la sua supremazia sul mondo?
La più forte critica alla cultura occidentale riguardo questo aspetto viene dal defunto leader dell’India, Mahatma Gandhi (1869-1948). Nel suo libro “La mia religione”1 Gandhi scrive: “Un occidentale è capace di fare grandi cose che altre culture considererebbero possibili solo a Dio. Eppure egli è incapace di riflettere sul suo Sé interiore. Questo basta a rivelare l’assurdità dell’ingannevole fascino della moderna civilizzazione”.
Egli scrive inoltre: “Che la civilizzazione occidentale abbia guidato gli occidentali verso le bevande alcoliche e la promiscuità sessuale, è dovuto al fatto che gli occidentali vanno più sul sentiero dell’oblio e della rovina del proprio “Sé” piuttosto che sulla via della sua scoperta. Molte delle loro grandi realizzazioni e buone azioni sono basate sull’oblio di sé e sulla futilità. La loro supremazia pratica nelle scoperte, invenzioni e strumenti militari nasce dalla loro fuga e non dal loro autocontrollo. Se l’umanità perde la sua anima, qual è l’utilità della conquista del mondo?”.
Gandhi continua poi: “C’è un’unica realtà nel mondo intero, ed è quella della conoscenza di sé. Chiunque conosce se stesso, conosce Dio e le altre creature. Chiunque è privo di tale conoscenza è privo di ogni conoscenza. Nel mondo c’è solo un’unica forza, un unico tipo di libertà e un’unica forma di giustizia, e questo è il potere di dominare su se stessi. Chiunque ha il dominio su se stesso, ha il dominio sul mondo. C’è una sola specie di virtù, ed è il fatto di amare gli altri come si ama se stessi; in altre parole, considerare le altre persone come si considera se stessi. Il resto è illusione e nullità”.2
Nel complesso, sia che si valuti l’autocoscienza al di sopra della coscienza del mondo o viceversa, o li si consideri uguali, è certo che la crescita di consapevolezza garantisce lo sviluppo della vita umana. In altre parole, l’anima umana eguaglia la consapevolezza, e la consapevolezza eguaglia l’anima umana. Più vi è consapevolezza, più in alto è l’anima.
Questo è affermato anche dal poeta Jalal ud-Din Rumi3, dove dice: «L’anima è la conoscenza delle prove, coloro che hanno una conoscenza maggiore hanno anime superiori. Le nostre anime oltrepassano quelle animali; poiché le nostre hanno maggiore conoscenza. Gli angeli hanno anime maggiormente elevate rispetto alle nostre, poiché essi sono puri dalle passioni animali. Ma superiore all’anima degli angeli è l’anima di coloro che sono padroni dei loro cuori, quindi non ti devi meravigliare!
È per questo che gli angeli si prosternano davanti agli uomini, perché le anime degli uomini sono superiori all’esistenza degli angeli. Altrimenti che senso avrebbe comandare a un essere superiore di prosternarsi davanti a uno inferiore? È forse appropriato, secondo la giustizia e la misericordia di Iddio, che un fiore si prosterni davanti a un rovo? Quando l’anima cresce va al di là dell’immaginabile e tutte le cose passano sotto il suo comando. {In ordine gerarchico} l’uccello, il pesce, l’angelo, infine l’uomo, poiché la sua anima è superiore e la loro inferiore.
Cos’è l’anima? È conscia del bene e del male, è infelice nella sventura, è lieta nella prosperità. Il segreto e la natura dell’anima è nella conoscenza, l’anima più cosciente è quella più elevata. Per l’anima è necessario che il cuore sia consapevole, chiunque é più consapevole, ha un’anima più forte. La consapevolezza influisce sull’anima: possiamo dire che chiunque abbia maggior consapevolezza di se stesso “ha più anima”. Poiché l’anima è un mondo pieno di consapevolezza, chiunque non abbia anima è privo di conoscenza».4
L’essere umano otterrà quindi un’anima superiore in proporzione alla sua maggiore consapevolezza del mondo e di se stesso. Il possesso dell’anima è, nelle parole dei filosofi, una realtà graduale. Essa ha vari livelli. Così come avviene un graduale avanzamento nel livello della consapevolezza dell’essere umano, così cresce il grado della sua vita e della sua anima.
È ovvio che la coscienza di Sé che stiamo trattando non è quella che appare su una carta d’identità (nome, il nome del padre e della madre, il luogo di nascita e quello di residenza).
Non è una coscienza di sé biologica (che l’essere umano abbia un grado più alto rispetto agli orsi, delle scimmie, ecc.). Lasciando da parte questi tipi di coscienze di sé, le autocoscienze vere sono di alcuni tipi, che tratteremo di seguito.
L’essere umano è intrinsecamente una creatura autocosciente; la sua sostanza è l’essenza stessa della coscienza. Non è vero che il “Sé” dell’essere umano è stato creato per primo, e che successivamente egli si rende cosciente di esso. Con la creazione del “Sé” si è formata anche l’autocoscienza stessa. A questo stadio elementare il cosciente, la coscienza e la cosa di cui si acquisisce coscienza sono un’unica cosa. Il “Sé” è una realtà corrispondente alla facoltà di percepire il mondo interiore.
Nei momenti successivi di sviluppo, quando l’essere umano diviene più consapevole degli oggetti intorno a lui, egli ottiene anche l’autocoscienza; egli si forma un’immagine del proprio essere nella sua mente. In altre parole, egli ottiene una consapevolezza di sé attraverso le cognizioni acquisite. Prima di essa, comunque, egli è, in qualche modo, consapevole di se stesso attraverso la comprensione intuitiva.
Gli psicologi che si occupano delle controversie sull’autocoscienza, pongono maggiore attenzione allo stadio secondario della consapevolezza, ottenuta attraverso la conoscenza acquisita e mentale, mentre le facoltà mentali raggiunte attraverso la conoscenza intuitiva sono di maggiore interesse per i filosofi: questo genere di consapevolezza è quello che in filosofia viene descritto come una della prove più convincenti per l’“immaterialità dell’anima”.
In questo tipo di autocoscienza non c’è nessun dubbio o domanda del tipo: “Io sono oppure no? E se sono, allora chi sono?”. Queste incertezze sorgono ove la conoscenza e la consapevolezza devono ancora essere acquisite, dove l’essere dell’oggetto di cui si è preso coscienza è diverso dall’essere della coscienza stessa.
È impossibile, infatti, che esistano dubbi dove la conoscenza è intuitiva e innata, cioè dove la coscienza, il cosciente e la cosa di cui si apprende sono un tutt’uno.
Il principale errore nel ragionamento di Cartesio5 è l’assenza di fondamento dell’incertezza dell’“Io sono”. Egli aveva dubbi su questa realtà e, quindi, doveva rimuovere i suoi dubbi ricorrendo all’“Io penso, quindi sono”.
Sebbene l’autocoscienza innata sia reale, non la si può acquisire; essa è insita nell’“Io” umano. Da ciò si evince che non è questo tipo di autocoscienza, che si crea in modo intrinseco dal cambiamento dell’essenza della natura, che dobbiamo ricercare.
Il processo di conversione della materia inconscia dell’esistenza umana nella sostanza spirituale cosciente è menzionato nel Sacro Corano, dove sono elencati gli stadi dello sviluppo del feto nel grembo materno, e a proposito del suo ultimo stadio è scritto:
“…E quindi ne facemmo un'altra creatura…” (Sacro Corano, Sura al-Mu'minun, 23:14).
I filosofi cercano di scoprire la realtà dell’“Io cosciente”, e capire se esso è sostanza o accidente, immateriale o materiale e trovare la sua relazione con il corpo. Essi cercano di esaminare e capire se la sua apparizione avviene prima, dopo o in concomitanza alla creazione del corpo, se esso sopravvive al corpo oppure no e così via.
In questo stadio dell’autocoscienza, la questione principale è la natura e la realtà del “Sé”. Se un filosofo afferma di avere autocoscienza, egli afferma di conoscere la natura e la sostanza dell’“Io”.
Questo termine denota la coscienza del proprio “Sé” in relazione con il mondo: “Da dove veniamo, dove siamo, dove stiamo andando?” In questo tipo di autocoscienza l’essere umano scopre che egli è una piccola parte di un tutto chiamato “mondo”. Egli scopre di non essere un individuo indipendente, ma che, al contrario, è dipendente; egli non è nato per conto suo, egli dipende da altri per la sua vita e non è in grado di determinare la sua morte. Egli si sforza di determinare la sua posizione in seno a questo tutto che è il mondo.
Questo tipo di autocoscienza è chiaramente illustrata dalle parole dell’Imam 'Ali (A): “Possa Allah benedire colui che conosce da dove viene, dove si trova e dove sta andando”.
Essa dona all’essere umano una delle più pure e più sublimi sensibilità, che non esiste in nessun’altra specie di animale o creatura: la sensibilità del voler ottenere la verità.
Questo tipo di autocoscienza lo induce sulla via della conoscenza della verità e della ricerca della certezza, che lo disorienta con il fuoco del dubbio e dell’incertezza, spingendolo da una parte all’altra; il fuoco che infiammò uomini come al-Ghazālī,6 un fuoco che lo rese così inquieto da fargli dimenticare di nutrirsi e dormire e indurlo a rinunciare alla sua cattedra a Nizamiyyah per vagare nei deserti e vivere una vita di riflessione in terre straniere per anni7; lo stesso fuoco che indusse 'Unwan di Basra8 a lasciare la sua patria e spendere la sua vita nella ricerca della Verità.
È questo tipo di autocoscienza che induce l’essere umano a preoccuparsi per il suo futuro.
L’autocoscienza di classe è una delle forme di consapevolezza sociale. È la coscienza del proprio “Sé” in relazione alla comunità cui si appartiene.
Nelle società divise in classi sociali, ogni individuo appartiene necessariamente a una certa categoria in base allo stile di vita e ai privilegi di cui gode o di cui è privato. La comprensione della situazione della propria classe e della propria responsabilità rispetto ad essa è definita “autocoscienza di classe”.
Secondo alcune teorie l’essere umano non possiede nessun “Sé” oltre a quello della classe a cui appartiene. Il “Sé” di un individuo è la sua coscienza: l’insieme delle sue emozioni, pensieri, dolori e inclinazioni; tutte queste sono delineate entro la propria “classe”. I difensori di queste idee credono che l’essere umano in realtà sia privo di “Sé”; che sia un essere oggettivo, non soggettivo. Una creatura oggettiva, essi dicono, è solo individuata entro la classe sociale di appartenenza. L’individuo è non-esistente. Sono le masse e le élite che esistono. Solo in una società senza classi l’essere umano può realmente realizzarsi. In una società di classe, quindi, l’autocoscienza sociale non è altro che l’autocoscienza di classe.
L’autocoscienza di classe così definita può essere denominata “coscienza dell’interesse” in quanto basata sulla filosofia per cui gli interessi materiali costituiscono il fondamento del carattere dell’individuo e si presentano come la forza principale che agisce su di esso.
In questo schema l’economia è considerata l’istituzione di base della struttura sociale, e gli interessi materiali comuni sono considerati come l’origine della “coscienza comune”, del “gusto comune” e del “giudizio comune” che i membri di una certa classe condividono. La vita di classe fornisce all’essere umano un discernimento di classe che lo induce a guardare e a interpretare il mondo e la società in modo particolare, da un’ottica precisa e con il punto di vista della propria classe sociale. Ciò lo induce a manifestare una solidarietà di classe e ad affrontare gli affari sociali in base a una prospettiva di classe. Il marxismo sostiene questo tipo di autocoscienza, ed essa può dunque essere definita autocoscienza marxista.
Questa è la coscienza del proprio “Sé” nella sua relazione con le persone con le quali si condividono legami etnici. Le persone si avvicinano a una specie di unione quale risultato del loro vivere una vita con leggi, costumi e tradizioni comuni, una comune storia di vittorie e di sconfitte, una lingua, una letteratura e una cultura comuni. In altre parole, così come un individuo possiede il “Sé”, cioè conosce se stesso, un gruppo di persone o una nazione hanno un “Sé nazionale”.
La cultura comune è più efficace della razza comune nella creazione dell’unità tra gli esseri umani. Con il supporto culturale, la nazionalità può unire tutti gli “Io” in un unico “Noi”. Può indurre la gente a sacrificarsi per il “Noi”, a gloriarsi per il successo e vergognarsi della sconfitta. L’autocoscienza nazionale è allora la coscienza della cultura nazionale, del carattere nazionale, del “Noi” nazionale.
Autocoscienza nazionale significa consapevolezza della cultura nazionale, della “personalità nazionale” e del “Noi” specifico nazionale. Nel mondo non esiste una sola cultura, ma esistono vari saperi e ognuno di essi ha una natura, degli attributi e delle diversità caratteristiche: per questo il concetto di una cultura unica non ha significato. Il nazionalismo, che si è originato e diffuso nel diciannovesimo secolo, e che è sempre più o meno in voga, è basato su questa filosofia.
Contrariamente all’autocoscienza di classe, per la quale tutte le emozioni, valutazioni, giudizi, prese di posizioni e così via, provengono dalla prospettiva di una certa classe, nell’autocoscienza nazionale ogni cosa ruota attorno al nazionalismo.
Essa non è della categoria della “coscienza del guadagno”, ma ricade comunque nella categoria dell’egoismo, in quanto incarna tutti gli effetti dell’egoismo come il pregiudizio, il favoritismo, l’egotismo, l’ammirazione di sé e l’ignoranza dei propri difetti. Di conseguenza, l’autocoscienza nazionale è, come l’autocoscienza di classe, priva di aspetti morali.
Questo termine indica la coscienza del proprio “Sé” nella sua relazione con tutti gli esseri umani. Questo tipo di autocoscienza è basato sul principio che tutti gli uomini formino una unità reale e tutti godano di una “coscienza umana comune”, essendo la filantropia e l’umanità tratti essenziali di tutti gli esseri umani. Sa'di9 disse:
Filosofi come Auguste Comte11 sono stati e sono tuttora impegnati nel definire la “religione dell’umanità” nella contemplazione dell’autocoscienza umana.
L’Umanesimo, che è la filosofia prevalente del nostro tempo e che si considera fondata sulla ragione, si basa sull’autocoscienza umana. Esso nega ogni tipo di discriminazione e distinzione e vede l’essere umano come una singola unità oltre la classe, la nazionalità, la cultura, la religione, il colore della pelle, la differenza di razza e di sangue. La “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo” è nata considerando tale autocoscienza al fine di diffondere questa filosofia.
Un individuo in possesso di un’autocoscienza umana soffre per l’agonia dell’umanità, spera nelle autentiche aspirazioni dell’essere umano e dirige i suoi sforzi, le sue amicizie e inimicizie solo per il beneficio del genere umano. Essere amico degli amici dell’uomo significa conoscenza, cultura, salute, benessere, libertà, giustizia, bontà ed essere nemico dei suoi nemici significa ignoranza, povertà, tirannia, malattia, pregiudizio e oppressione.
L’autocoscienza umana, diversamente da quella di tipo classista e nazionale, è di tipo morale: essa è la più logica e quella di cui si è parlato di più. È però la meno materialistica di tutte. Perché? La risposta è nascosta nella stessa esistenza e realtà dell’essere umano.
La realtà e l’esistenza dell’essere umano differiscono da quelle di tutte le altre creature di Dio, animate e inanimate, poiché esse sono così come sono state create. Indipendentemente dalla loro natura e dalla loro realtà, i loro attributi rimangono esattamente come sono stati forgiati nell’atto della Creazione.
L’essere umano, invece, incomincia a interrogarsi su “cosa essere” e “come essere” sin dalla sua creazione. Egli non è ciò che è stato creato; è piuttosto quello che intende essere: si svilupperà secondo l’insieme dei vari fattori educativi, tra i quali la propria “volontà” e “scelta”. In altre parole, per quanto riguarda la natura di cosa essere e come essere, tutte le cose sono state create effettivamente come sono, mentre l’essere umano è un essere potenziale.
Ciò implica che i “semi" dell’umanità esistono potenzialmente nell’essere umano e, a patto che essi siano protetti dalle varie influenze nocive, gradualmente cominceranno a svilupparsi nel campo fertile della sua esistenza, e sono proprio questi i suoi aspetti innati che formeranno poi la “coscienza” umana e innata.
L’essere umano possiede una “persona” assieme a una personalità, diversamente dagli oggetti inanimati e dagli animali. La persona dell’essere umano, cioè i suoi sistemi corporei, nasce in modo attuale. Egli, al momento della sua nascita, è come deve essere dal punto di vista delle sue caratteristiche corporee, come gli animali. Al contrario, dal punto di vista delle sue caratteristiche spirituali, cioè ciò che darà forma alla sua personalità umana, sarà, invece, un essere potenziale.
I suoi valori umani sono potenzialmente insiti nel suo essere e pronti per poter fiorire e svilupparsi.12
Il livello spirituale dell’individuo si situa a un stadio successivo rispetto al livello fisico. Le parti del suo corpo sono formate dagli agenti della creazione nel grembo della madre, mentre i suoi meccanismi spirituali e i componenti della sua personalità si sviluppano e crescono successivamente al periodo embrionale. Per questo l’essere umano è definito l’architetto e l’ingegnere della propria personalità. A lui è stato consegnato il “pennello” della creazione con cui disegnare la propria personalità (e non il proprio corpo).
Nelle altre creature è del tutto impossibile immaginare una separazione tra essi e la loro natura, cioè tra la pietra e il suo esser pietra, tra l’albero e il suo esser albero, tra un cane e il suo esser cane, tra un gatto e il suo esser gatto e così via. Nell’essere umano, invece, c’è un divario tra “se stesso” e la sua “natura”, cioè tra essere umano e umanità.
Molti esseri umani non giungono allo stadio dell’umanità e si sono fermati alla sfera della brutalità, come alcuni uomini primitivi selvaggi, e molti sono addirittura divenuti antiumani, come la maggior parte dei cosiddetti popoli civilizzati. Come è possibile distinguere una cosa dalla sua natura?
È ovvio che la natura è una condizione essenziale per l’esistenza: un essere di fatto ha una natura di fatto; mentre un essere che manca della natura di cui è degno, è soltanto un essere potenziale.
È una giustificazione filosofica quella che l’esistenzialismo chiama il “principio dell’esistenza”: l’essere umano è un essere privo di natura che l’acquisisce in accordo alla propria scelta. Questo è stato confermato da filosofi islamici come Sadr al-Muta'allihin13, che scrisse: “L’uomo non fa parte di una unica specie, ma è in realtà un essere multi-specie. Un individuo, infatti, può appartenere un giorno a una specie, e il giorno successivo a un’altra”.
Di conseguenza appare chiaro che l’essere umano biologico non può quindi essere considerato il reale essere umano. Egli è solo il sostrato dell’essere umano reale e, nelle parole dei filosofi, il contenitore delle facoltà della natura umana piuttosto che la natura umana stessa. Inoltre, è evidente che non ha senso parlare di umanità senza credere nel “principio dell’anima”.
Fatta questa precisazione, possiamo ora definire meglio il concetto di autocoscienza umana.
Come sostenuto in precedenza, essa si basa sul principio per il quale tutti gli esseri umani sono da considerarsi un’unica reale “unità”. Essi hanno una coscienza comune che oltrepassa quella della classe, della religione, della nazionalità e la coscienza razziale. Ciò richiede una delucidazione su quale genere di esseri umani collettivamente possiede un “Sé” unificato, governato da una “anima” comune.
Chi sono le persone nelle quali l’autocoscienza umana si radica e cresce? Essa risiede solo in coloro che hanno già compreso il senso dell’umanità e in cui i valori umani e la natura umana attuale si sono realizzati? Oppure in tutti gli esseri umani o in quelli degenerati la cui natura è cambiata e divenuta più brutale degli animali? È posseduta da tutti gli esseri umani senza eccezione?
È evidente che quando si parla di sensibilità comune, si intende che le persone sono come organi di un corpo, partecipando ognuno alla sofferenza dell’altro. Non tutti i tipi di persone descritti in precedenza possono avere questo tipo di sentimenti. Come può una persona selvaggia, primitiva, il cui sviluppo si è arrestato allo stadio infantile e che è inconsapevole di sé e della sua natura umana, avere un simile sentimento comune? Come può questo tipo di persona essere soggetta al governo dell’“anima comune”? Il comportamento di un essere degenerato è ovvio, quindi non c’è bisogno di spiegarlo.
L’“anima comune” estende il suo dominio solo su quegli esseri umani che hanno già ottenuto il senso dell’umanità, che hanno scoperto la loro natura umana, che hanno pienamente sviluppato queste caratteristiche umane ed essi soltanto possono essere considerati come organi di un unico corpo.
Queste persone, in cui sono cresciuti tali valori innati, sono i fedeli, perché la “fede” si colloca in cima alle disposizioni e ai nobili valori umani.
La conclusione è allora che quello che unifica il “Noi” di tutte le persone e che insuffla un’anima unita in loro così da creare dei miracoli umani e morali è l’“unità della fede”, non il fatto di essere stati creati dalla stessa materia, come Sa'di affermava nella sua poesia. Quello che Sa'di riferisce è una condizione ideale: non è una realtà, anzi, non può nemmeno essere ideale. Come possono Mosè e Faraone essere membri di un unico corpo? Come può Abu Dharr simpatizzare con Mu'awiyah?
Quello che è sia reale che ideale è l’unità di fatto degli uomini che hanno ottenuto l’umanità e hanno acquisito virtù. Per questo, il nostro amato Profeta (S) non si riferisce agli “uomini” (“i figli di Adamo”) come agli organi di un unico corpo, come Sa'di erroneamente generalizza nella sua citazione del detto del Profeta (S); esso invece recita: “I credenti sono come i membri di un corpo. Ogni volta che un membro è afflitto da dolore, gli altri sentono una simpatia, coinvolgendo se stessi nell’agonia e nel tormento”.14
Nessun dubbio che le persone di questo tipo siano gentili con tutte le persone e tutte le creature. Essi mostrano mitezza anche verso i degenerati: questo è il motivo per cui Iddio chiama il Santo Profeta (S)
“…Una misericordia per le creature”. (Sacro Corano, Sura Al-Anbiya', 21: 107)
Questi uomini sono gentili anche con i loro nemici. L’Imam 'Ali (A) espresse il suo sentimento verso Ibn Muljam (colui che successivamente lo assassinò), dicendo: “A me piace vederlo vivo, ma egli cerca di uccidermi”. La cosa più importante, comunque, è “la sensibilità e l’affetto reciproci”, ed essi possono essere realizzati soltanto in una comunità di “credenti”.
È quindi ovvio che il pacifismo a oltranza e la mancanza di intervento verso le azioni illecite e gli oppressori non possono essere definiti gentilezza verso tutti gli esseri umani. Al contrario, il reale sentimento di fratellanza e umanità, in simili casi, richiede severi interventi.
Bertrand Russell15e Jean-Paul Sartre16 sono due sostenitori ben conosciuti dell’umanesimo della nostra epoca. Eppure, Russell ha basato la sua filosofia morale su basi che contraddicono l’umanesimo da due punti di vista. La filosofia morale di Russell è basata sulla lungimiranza riguardo agli interessi personali, cioè sulla garanzia di maggiori e migliori benefici, alla luce dei principi morali. Egli non considera nessun’altra filosofia riguardo alla moralità. Il suo umanesimo, comunque, conduce all’“adorazione dell’interesse”.
L’umanesimo di Sartre, invece, come sostiene uno scrittore persiano contemporaneo17, manifesta l’ansia del mondo occidentale prossimo al collasso. Lo scrittore esprime le sue idee sotto il titolo “I due aspetti del nichilismo nell’Occidente moderno”, affermando: “[…] quella borghesia entusiasta che conquistò la Bastiglia e levò la bandiera del nazionalismo oggi non ha nient’altro che il vuoto su cui riflettere. Le giovani generazioni in Occidente vivono su un punto vuoto. L’Occidente sta ricevendo ciò che aveva esportato: disordine sociale, disperazione, vagabondaggio, senso di meschinità, nichilismo e così via (…) Tutte cose che aveva imposto ad altri stati e civiltà. Un nichilista pensa: quello che non è per me, non deve essere per nessuno (…) e in questo modo, egli marcia verso la sua autodistruzione”.
Possiamo notare come un’altra reazione a questa situazione sia l’emergere del movimento romantico, una sorta di filosofia pro-umanità che ha attirato l’attenzione degli occidentali di vari livelli. Russell, con la sua semplice, pragmatica prospettiva si trova a un estremo di questa filosofia, e all’altro estremo troviamo Sartre con le sue prospettive filosofiche sofisticate e inquiete. In mezzo a questi due estremi troviamo intellettuali di larghe vedute, politici ed economisti come Mende18 che tentano di trovare soluzioni pratiche ai loro problemi e a quelli degli altri.
Sartre invece, con il suo atteggiamento gnoseologico, la sua libertà da ciò che può recare dipendenza, e la sua intricata teoria che reclamizza responsabilità e obblighi, è un'altra manifestazione dello spirito occidentale che, pieno di vergogna per i crimini passati, cerca di rimediare al passato. Egli, come gli Stoici, credeva nell’uguaglianza, nella fratellanza, nella norma universale, nella libertà, nella giustizia e nella pietà, e rappresenta la tendenza intellettuale che esiste ai nostri giorni in Occidente verso il sollievo dell’ansia del collasso attraverso un “umanesimo integrale”.
Di fatto, nel sostituire la religione con l’umanesimo, Sartre cerca di chiedere perdono per se stesso e per tutto l’Occidente all’intero genere umano che, secondo questo pensiero, ha rimpiazzato l’idea di Dio. Il riflesso evidente dell’umanesimo di Sartre si manifesta quando esprime la sua solidarietà a Israele difendendone l’innocenza, e al contempo biasima l’oppressione da esso compiuta nei confronti degli Arabi, in special modo contro i rifugiati Palestinesi!
Il mondo ha sempre testimoniato simili manifestazioni pratiche presentate da quegli umanisti occidentali che hanno firmato la pomposa “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”. Queste dimostrazioni non richiedono ulteriori commenti.
L’autocoscienza sociale, sia essa nazionale, umana o di classe, in quest’epoca viene definita coscienza intellettuale. Un intellettuale è colui che possiede solamente un tipo delle sopramenzionate autocoscienze. Egli sente il dolore della propria classe, della propria nazione o il dolore umano e cerca di liberare la sua particolare classe, nazione o l’intero genere umano dalla sofferenza delle loro pene. Egli tende a trasmettere la sua coscienza a essi e stimolarli ad assicurarsi libertà da tutte le prigioni sociali.
7. Autocoscienza gnostica19
Questa è la coscienza del proprio “Sé” nella sua relazione con l’Essere Divino. Questa relazione, secondo gli stessi gnostici, non è uguale a quella tra due creature aventi la stessa natura, simile alla relazione di un individuo con altri membri del genere umano. È la relazione tra il ramo e la radice, tra l’immagine e la figura reale e, usando le parole degli gnostici, tra il contingente e l’assoluto.
Il dolore dello gnostico, contrariamente a quello dell’intellettuale, non è la riflessione sulle sofferenze esterne nell’autocoscienza: è un dolore interiore, che nasce da un bisogno innato.
L’intellettuale, essendo il suo dolore di tipo sociale, prima acquisisce la coscienza, e poi quest’ultima lo rende sensibile al dolore. Nello gnostico invece, la sua coscienza è il dolore stesso in quanto il suo è un dolore interno: esso è simile a quello di una persona malata, è il segnale naturale che indica l’esistenza di un bisogno all’interno del corpo. Scrive Rūmī:
Il dolore dello gnostico e del filosofo non sono gli stessi, ma entrambi soffrono per la verità; la meta del filosofo però è sapere e riconoscere la verità, mentre lo scopo dello gnostico è raggiungere l’unione e l’estinzione nella Verità. Il dolore del filosofo lo distingue dalle altre creature, cioè dagli oggetti inanimati, dalle piante e dagli animali perché questi ultimi sono privi della dolorosa lotta per la sapienza e la conoscenza. La sofferenza dello gnostico, invece, consiste nell’agonia dell’amore e dell’attrazione, ed essa manca non solo agli animali, ma anche agli angeli, nonostante la loro sostanza sia la conoscenza e l’autocoscienza. Hafez21 recita:
Il dolore del filosofo manifesta la chiamata di un bisogno naturale alla “conoscenza”, perché di fatto l’essere umano ha desiderio di conoscere; mentre quello dello gnostico rivela la chiamata di un bisogno naturale d’amore, per cui l’individuo desidera prendere il volo e non darsi pace fino a quando non raggiunge la Verità. Allo gnostico, la perfetta autocoscienza si identifica solamente con la “coscienza di Dio”.
Egli dichiara non vero quello che il filosofo chiama “vero Sé”. Esso è solo “anima”, un oggetto esterno: il “vero Sé” non è altri che Iddio. Rompendo questo limite l’essere umano trova il suo “vero Sé”.
Muhyi ad-Din al-'Arabi23 nel suo libro Fusus al-Hikam, nel capitolo su Shu'aib, scrive: “I filosofi e i teologi hanno discusso molto riguardo ai modi per ottenere l’autocoscienza, ma questa non può essere acquisita attraverso i mezzi che essi propongono. Chiunque considererà vero quello che i saggi affermano di avere afferrato sull’autocoscienza, si sta assolutamente sbagliando”.
Uno dei problemi iniziatici principali, affrontato da Shaykh Mahmud Shabestari24 nel suo poema iniziatico Golestan-e Raz, fu quello della natura del “Sé”25:
Egli allora critica le definizioni dei filosofi riguardo all’“anima”, al “Sé” e all’autocoscienza, e continua:
Rūmī scrive:
L’iniziato rifiuta dunque il fatto che l’anima sia il “vero Sé”. Egli asserisce che la conoscenza dell’anima non è l’autocoscienza, perché l’anima non è altro che una manifestazione del “vero Sé”, che non è altri che Dio. Quando l’essere umano annichilisce se stesso e ignora tutti i fattori che determinano il suo essere, non rimane più nessuna traccia della sua anima. Allora egli potrebbe essere come una goccia che ritorna al mare dell’Estinzione per approdare alla vera autocoscienza.
È solo allora che l’essere umano diviene tutte le cose e tutte le cose divengono lui, divenendo finalmente consapevole del “vero Sé”.
C’è una notevole differenza tra questo tipo di coscienza e tutte le altre. I profeti sono in possesso sia dell’autocoscienza divina che di quella del creato. Essi sopportano due tipi di sofferenza; per Dio e per le creature. Ma questa non porta a una forma di dualismo. La loro attenzione non è verso due direzioni, di cui una è Dio e l’altra le creature; essi non hanno un occhio su Dio e l’altro sulle creature, e non dividono i loro sentimenti egualmente tra Dio e le creature.
Il Sacro Corano afferma:
“Allah non ha posto due cuori nel petto di nessun uomo” (Sacro Corano, Sura al-Ahzab, 33:4).
(così da poterli volgere in due direzioni)
Con un cuore non si possono avere due amati. I profeti sono gli eroi del monoteismo e nel loro comportamento non c’è il minimo politeismo: né nei principi, né negli scopi, né nelle aspirazioni e nelle sofferenze.
Essi amano tutte le particelle della creazione in quanto manifestazioni dei nomi e degli attributi Divini.
Sa'di scrive:
L’amore dei profeti verso il mondo è soltanto un riflesso del loro amore per Dio, piuttosto che una manifestazione contrapposta a esso. La sofferenza che essi patiscono per amore del creato nasce dalla loro attenzione per Dio, e non da un’altra origine. Il loro fine e desiderio ultimo è quello di condurre gli uomini verso la “Meta delle Mete”, cioè Dio.
I profeti iniziano la loro missione con il desiderio di Dio, che li guida alla prossimità della Natura Divina. Questo desiderio è la “frustata” che li spinge verso la perfezione e li guida nel loro “viaggio da ciò che è stato creato verso il Creatore”, e non li lascia un momento, fino a quando non arrivano a quella che l’Imam 'Ali (A) chiama la “Stazione della certezza”.
La fine di tale viaggio è l’inizio di un altro, visto come “viaggio entro la Verità e con la Verità”. È in questo secondo viaggio che essi ricevono pieno appagamento e portano a termine un altro tipo di perfezione.
Il secondo viaggio non è la meta per i profeti. Essi non si fermano nemmeno a questo stadio. Dopo essere stati colmati con la Verità Perfetta, attraversando il ciclo dell’essere e le varie stazioni, essi sono designati profeti e partono per il terzo viaggio, che è il “viaggio dal Creatore verso ciò che è stato creato”. Essi tornano alla prima posizione, ma senza abbandonare quello che hanno ricevuto. Essi tornano al creato in compagnia di Dio, non in Sua assenza. Questo viaggio è il terzo stadio del perfezionamento del profeta.
Il decreto alla Missione Divina, che subentra alla fine del secondo viaggio, mostra l’effettivo inizio dell’autocoscienza e della devozione verso l’umanità, che sono dovuti dall’autocoscienza e dalla devozione verso Dio.
Il ritorno all’umanità segna l’inizio del quarto viaggio e il suo quarto ciclo di perfezionamento. Egli viaggia tra le creature, accompagnato da Dio. Il fine di questo viaggio è di portarli verso l’infinita Perfezione Divina, attraverso la Legge Islamica (Shari'ah), cioè attraverso la verità, la giustizia, i valori umani, e attraverso la realizzazione delle illimitate, celate, potenzialità umane.
È ovvio, perciò, che quella che l’intellettuale considera una meta, per un profeta è una tra le stazioni da dove egli guida gli uomini, e quella che lo gnostico cerca, è compresa nel viaggio del profeta.
Iqbal traccia così la sua linea di differenza tra l’autocoscienza gnostica e quella profetica: “Il Santo Profeta Muhammad ascese al Paradiso, durante il Mi'raj29, e tornò. Abd 'ul-Quddus di Gangoh, un grande santo della Tariqah {Ordine Sufi}, a questo proposito affermò: ‘lo giuro su Allah, se avessi raggiunto quello stadio, non sarei mai più tornato sulla terra”.
Iqbal continua: “(…) è oltremodo difficile trovare poche parole come queste in tutta la letteratura Sufi che, in una singola frase, riveli così meticolosamente la differenza psicologica tra il tipo di autocoscienza iniziatica propria del Sufi e quella profetica. All’uomo d’'irfan dispiacerebbe ritornare alla vita terrena dopo aver raggiunto la stazione della fiducia e della tranquillità attraverso l’“esperienza di congiunzione con la Verità”. Quando necessariamente ritornerà, non sarà comunque di molto beneficio a tutto il genere umano. Il ritorno del profeta, al contrario, è accompagnato da un aspetto di creatività. Egli ritorna ed entra nel flusso del tempo al fine di modificare il corso della storia e, quindi, creare un nuovo modello di ideali”.30
Non è questa la sede per definire la correttezza o meno di questa interpretazione irfanica. Comunque è certo che i profeti per primi soffrono per Dio. È la sofferenza della ricerca di Dio che li spinge in alto, sempre più in alto, verso di Lui, di cui poi si colmano. Secondariamente, essi soffrono per il creato.
Questa sofferenza differisce da quella di un intellettuale. La sofferenza dell’intellettuale non è niente di più che un semplice sentimento umano. È un’impressione, una passione e, molte volte, come Nietzsche sottolinea, una debolezza. La sofferenza dei profeti è, d’altra parte, come la loro autocoscienza, piuttosto dissimile da quella degli intellettuali. Il fuoco che arde dentro l’anima dei profeti è un fuoco differente.
È vero che un profeta raggiunge una maggiore espansione della sua personalità e non solo la sua anima si unisce con le anime degli altri e le circonda, ma si unisce al mondo intero, circondandolo. È vero che i profeti soffrono per i dolori della gente:
“Ora vi è giunto un Messaggero scelto tra voi; gli è gravosa la pena che soffrite, brama il vostro bene, è dolce e misericordioso verso i credenti”. (Sacro Corano, Sura at-Tawba, 9:128)
Fino a quasi distruggere se stessi:
“Ti struggerai seguendoli, se non credono in questo discorso?” (Sacro Corano, Sura al-Kahf, 18:6)
È vero che i profeti sono talmente afflitti dal dolore e dall’angoscia a causa della fame, della miseria, dell’innocenza, della privazione, della malattia e della povertà della gente, che essi non possono dormire tranquillamente per la loro apprensione sul fatto che ci sia qualche persona affamata in una città lontana.
L’Imam 'Ali (A), che seguiva il sentiero dei profeti, dice: “Lungi da me il farmi sopraffare dalla dissolutezza e dall’avidità che mi spingono ad acquistare i cibi più raffinati, mentre nell’Hijaz e nello Yemen vi può essere gente che non ha mai soddisfatto la sua fame. Dovrei riposare completamente sazio, quando ci sono molte genti affamate e assetate intorno a me?!”31
Comunque, questi sentimenti non devono essere considerati soltanto una sorta di compassione mostrata da gente buona di cuore. Un profeta, essendo un essere umano, all’inizio del suo cammino possiede tutte le qualità positive che appartengono agli esseri umani, però dopo che il suo essere è interamente infiammato dal fuoco Divino, tutti questi attributi assumono un’altra connotazione, quella Divina.
Ci sono differenze sorprendenti tra la gente e le società che sono guidate e forgiate dai profeti e quelle guidate ed edificate da intellettuali e pensatori vari.
La principale differenza consiste nel fatto che i profeti cercano di risvegliare le facoltà umane innate e di illuminare gli istinti misteriosi e l’amore nascosti nel profondo dell’animo umano. Il Profeta Muhammad (S) si definì “colui che fa ricordare” o “colui che risveglia”, colui che crea nell’essere umano una specie di sensibilità verso l’esistenza come un tutto e trasmette alla gente la sua autocoscienza a questo riguardo.
Il maggior risultato dell’intellettuale potrebbe, al contrario, essere il risveglio della consapevolezza sociale della gente riguardo ai suoi interessi di classe o nazionali.
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